Julio Sergio Bertagnoli da calciatore – portiere, anno 1978 – ha conosciuto la gavetta, la lunga gavetta, prima di arrivare a essere un titolare in Serie A in una Roma che arrivò di tanto così da uno scudetto. Da papà, da genitore, si è da poco messo alle spalle un problema di salute del figlio. Non c’entra il Covid, che lì in Brasile ha fatto parecchie vittime. “Mio figlio, di 12 anni, ha avuto un cancro. Ora per fortuna l’ha superato. Sono stati momenti difficili, ma abbiamo vinto anche questa partita”.
Che felicità, Julio. Che felicità davvero. Almeno adesso le potrà venire più semplice parlare di calcio, della Roma.
“Della mia Roma. Io non sono romano di nascita, ma sicuramente sono romanista d’adozione. Resto legatissimo a questa squadra, è un pezzo della mia vita. Otto anni della mia vita. Guardo sempre le partite, quando posso”.
Domenica vedrà il derby?
“Certo, senza dubbio. Qui saranno le 13, da voi le 18. Magari, se vinciamo, dopo vado a mangiare e a festeggiare”.
“Vinciamo”, dice. Parla davvero come se la Roma le appartenesse.
“Per me è così. La tifoseria romanista ti dà tanto, ti trasmette un’energia incredibile. Ti fa essere parte di una famiglia. Ma devi essere forte a sopportare le pressioni nei momenti difficili. Ecco, per esempio, da portiere dico che non è facilissimo fare il portiere a Roma, nella Roma”.
Perché?
“Beh, per una serie di ragioni. È un po’ che non vinciamo qualcosa, uno scudetto o una coppa. Questo sentimento si fa sentire e in qualche modo i giocatori se lo portano in campo. Devi avere la testa giusta per trasformarlo in forza, motivazione. Se fai il portiere della Roma, devi portare qualche punto alla squadra. Non è semplice. Però, posso dire, una volta che le cose girano bene, è la piazza più calda e piacevole per giocare a calcio”.
Rui Patricio ha le caratteristiche che sta descrivendo?
“Sì, senza dubbio. Lo avevo visto giocare in precedenza, anche se non lo conosco personalmente. Era tanto che un portiere non trasmetteva questa fiducia alla squadra. E lui è un numero 1 esperto. Ha il fisico per fare quel ruolo. Sta dimostrando di essere un grandissimo, partita dopo partita”.
E a proposito di partite: Lazio-Roma, la stracittadina. Lei l’ha vissuta intensamente, da protagonista.
“Sì, ricordo bene i giorni precedenti al primo Roma-Lazio che disputai. Io ero da poco titolare della squadra e in tanti avevano tensione su di me, su come avrei potuto reagire. Beh, ho reagito parando quel tiro su Mauri sotto la traversa…”.
Al ritorno, poi, reagì ancora meglio…
“Quel derby di ritorno fu assurdo. Partita difficile, non ci riusciva nulla. Ed era strano perché in quel periodo noi giocavamo molto meglio della Lazio. Ma ci sono cose inspiegabili nel calcio, in queste partite. Nel secondo tempo vennero cambiati Totti e De Rossi, ci fu il rigore per la Lazio. E io lo parai a Floccari. Da lì iniziò la nostra riscossa, la nostra rimonta. Mirko segnò due gol e noi tornammo in testa alla classifica. Fu una delle partite più emozionanti. I ricordi legati al derby sono i migliori vissuti con questa maglia”.
Quello scudetto del 2010 lo vinse l’Inter di Mourinho. Oggi il portoghese è l’allenatore giallorosso. Le fa effetto?
“Sono contento. Molto contento da romanista. È un tecnico vincente. Sa insegnare e trasmettere tanto alla squadra. Protegge continuamente i giocatori. Fa piacere vedere alla guida un uomo del genere. Lui non deve dimostrare niente. Deve fare quello che sa per portare la Roma a fare un salto di qualità. Mi sarebbe piaciuto molto essere allenato da lui. Anche se in carriera non mi posso lamentare. Ho incontrato Spalletti, Ranieri, Montella, Di Francesco, Luis Enrique, Garcia… Da tutti questi ho imparato qualcosa e cercherò di riproporlo nella carriera di allenatore che sto intraprendendo”.
Tecnico di prima squadra, non dei portieri?
“No, voglio diventare un allenatore di prima squadra. Oggi faccio il secondo al Coritiba, un club importante in Brasile. Abbiamo una buona squadra e faremo il possibile per essere promossi in prima divisione. In futuro mi piacerebbe tornare in Europa, prendere il patentino della UEFA. Diventare un buon allenatore, insomma”.
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