Cosa ha fatto in tutti questi anni? Non sempre sarà andato a letto presto come Noodles, alias Robert De Niro, in C'era una volta in America, ma da quel debutto sono trascorse un paio di generazioni.
È stato il capitano della Roma tra la fine degli anni 80 e il 1996. “Un principe che ha preso sotto braccio la sua Roma”. 437 presenze, 75 gol in 15 stagioni consecutive. Numero dieci, simbolo, idolo, poster di una generazione. Ha amato visceralmente questa maglia, piangendo per lei. E per un breve periodo è stato l'allenatore del Verona, prossima avversaria dei giallorossi.
Centrocampista di qualità raffinata, la sua fama ha varcato i confini nazionali (per dire, il ct bulgaro Petrov si fece soprannominare “Giannini” per lui). Ma ha costruito anche oltre un rettangolo verde. È marito di Serena, padre di Beatrice e Francesca e oggi nonno. “Che impressione mi fa che siano passati 40 anni? Nulla di particolare, se non che ci stiamo facendo vecchi…”.
Circa un mese fa, il 20 agosto, ha festeggiato 57 anni. Si trova in Sardegna, a Golfo Aranci, dove le figlie hanno un ristorante sulla riva del mare. “Finché il tempo è bello, restiamo qui. Ma torneremo a Roma”. D’altronde, non potrebbe essere altrimenti. Roma è casa sua, la Roma una parte di vita. E la Roma, quella di oggi guidata da José Mourinho vince e convince.
Le ha viste queste prime sei partite stagionali?
“Quando gioca, la vediamo, certo. È partita bene, è stata anche agevolata da un calendario non difficilissimo. Ma le gare, comunque, vanno vinte e non è mai scontato. Ha sfruttato bene le occasioni. Quella di domani a Verona, ad esempio, può essere una partita da tre punti. Se gioca con quell’attenzione, quella determinazione mostrata fino ad ora”.
Mourinho sembra già padrone della situazione.
“Non mi aspettavo un impatto così. È riuscito subito a entrare nella testa dei giocatori. È la sua dote più importante da allenatore. È un personaggio carismatico. Dalla prima conferenza stampa si è rivelato subito un punto di riferimento. Dopo Totti e De Rossi, avere un punto di riferimento come lui è importante e fa piacere ai tifosi”.
Con il tempo, può diventare un personaggio influente come lo è stato Liedholm nella sua epoca?
“Credo proprio di sì. Anzi, per me già lo è. La gente si identifica nei suoi atteggiamenti, nelle sue cose. È un trascinatore. Figura perfetta per una piazza come quella di Roma”.
Da allenatore, è più importante portare i giocatori dalla parte propria, mostrando leadership, o badare soprattutto all’aspetto tattico?
“L’empatia che si può avere all’inizio è fondamentale, ma conta anche l’aspetto tattico. È importante conoscere i propri calciatori, sia moralmente, sia tecnicamente. E in base a questo, poi, adattare la qualità dei singoli per unirle in un collettivo. Mourinho già è riuscito a fare un bel lavoro”.
Accennava prima alla partita con l’Hellas Verona di domenica. Nel 2010 fu tecnico gialloblù per qualche partita. Poi cosa successe?
“Ho avuto modo di riscontrare che è un ambiente un po’ ostile ai romanisti. Nei miei riguardi all’inizio contò un po’ questo aspetto. Per dire, durante la preparazione i tifosi mettevano l’inno della Lazio sulle tribune per farmi un dispetto. Goliardia che nel calcio ci può stare. Ma resta in ogni caso una piazza bella, un’esperienza positiva. Io e il direttore sportivo costruimmo la squadra, con tre o quattro giocatori che avevo a Gallipoli, ma serviva tempo per trovare una quadra. Ci riuscì Mandorlini successivamente, trovando anche la promozione”.
Anche se sono passati 40 anni dal suo esordio e 25 dal suo addio, nessuno l’ha mai dimenticata.
“Vero. Avverto sempre grande affetto nei miei confronti. Per uno che ha giocato per tanti anni nella Roma, fa piacere essere ancora riconosciuto, apprezzato. Questo è quello che rimane impresso in me. L’affetto e stima che la gente ha nei miei confronti”.
Le lacrime di Foggia hanno rappresentato forse l’emblema del suo rapporto con la Roma?
“No, di momenti passionali ce ne sono stati diversi. Positivi e negativi. Le coppe vinte. Poi, sicuramente il gol a Foggia, la serata con lo Slavia Praga, la finale con il Torino con la mia tripletta, ma che non servì per la rimonta. Tanti attimi intensi”.
Si rivede un po’ in Lorenzo Pellegrini? È un accostamento che si legge sempre più spesso.
“Non è giusto fare paragoni, come ha detto lo stesso Mourinho nella prima conferenza stampa. Diciamo che sicuramente ci accomuna il modo di giocare. All’inizio anche io, come lui, svariavo molto e facevo la mezzala agendo lungo tutto il fronte, senza dare grossi punti di riferimento. Con il tempo mi sono specializzato da regista”.
E da ex capitano, apprezza la fascia sul suo braccio?
“Mi piace, sì. È giusto che sia lui il capitano. La fascia ti matura e ti responsabilizza. Da quando è stato designato leader, sta trovando una sua dimensione importante all’interno del gruppo. Tutti gli riconoscono di essere un punto di riferimento. Lo cercano. In campo e fuori. Come succedeva a me, da capitano della Roma”.
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