Vittorio Trenta, uno dei leader storici del CUCS, è tra gli ideatori e realizzatori della coreografia, tra le più iconiche nella storia del tifo. La firma, Commando Ultrà Curva Sud.
Come nacque l’idea?
“Qualche tempo prima, vedendo durante una manifestazione sportiva internazionale. Erano le Olimpiadi di Mosca del 1980. L’ispirazione nacque da una grande rappresentazione con i cartoncini. Si trattava di un orso in rilievo su uno sfondo, era la mascotte dei Giochi Olimpici. Così immaginammo di riproporla su quel modello, ma con con una scritta di forte impatto. La realizzammo in occasione di quel derby dell’ottobre 1983, che si sarebbe giocato in campionato dopo tre anni dal precedente”.
Derby che fu il primo con lo scudetto sul petto per la Roma e quello del momentaneo ritorno in Serie A per gli altri. Eppure, il vostro messaggio non fu di sfottò.
“Mah, guardi, noi abbiamo pensato sempre, prima di tutto, alla nostra Roma. Facevamo le cose con amore e passione per lei. E, nei nostri messaggi, questi sentimenti volevamo trasmettere. Poi, chiaro, gli sfottò non sono mai mancati. Penso a “Ciao ‘nvidiosi”, per dirne uno”.
Quanto fu complicata la realizzazione?
“Soffertissima, fino alla notte prima della partita. Pensi che lavorammo lo striscione dentro un appartamento di 70 metri quadrati. In pratica, occupava tutto lo spazio della casa. Avete presente quanto era gigante quella scritta? Quasi un chilometro… Eravamo un gruppetto di persone, anche mia moglie. Ad un certo punto ci fu un problema con la lettera “M” e pensavamo di non riuscire a fare in tempo a concludere nei tempi della partita. Qualcuno fece mattina senza dormire. Ma alla fine arrivammo allo stadio e quelle due semplici parole fecero la storia”.
Forse perché fu la prima volta che una tifoseria manifestasse in quella maniera il proprio amore.
“Fummo i primi a realizzare una cosa del genere. Chiaramente, il sentimento verso la propria squadra appartiene ad ogni tifoseria, ma nessuno prima di allora lo aveva rappresentato così in modo diretto. E anche con semplicità”.
In una partita come il derby, poi.
“Non è una partita come le altre. A casa mia o nel mio abbigliamento io difficilmente abbino quei due colori. Però, capisco, io forse sono troppo esagerato…”.
In questo Lazio-Roma non ci saranno tifosi sugli spalti. Sarà la prima volta nella storia di questa sfida a porte chiuse. Che effetto fa?
“Sarà triste e particolare. Chiaramente, non è colpa di nessuno con la pandemia in corso, però farà effetto non vedere tifosi sugli spalti. Mi auguro, in ogni caso, sia un derby memorabile per la Roma dal punto di vista sportivo. Per quello che succederà in campo. L’idea di calcio di Fonseca mi convince sempre di più”.
Le è mai capitato di seguire un derby in tv?
“No, sarà la prima volta. Qualche anno fa ebbi alcuni problemi fisici, che mi impedirono di andare allo stadio per un po’ di tempo, ma non ci fu il derby di mezzo. Può essere che ne abbia saltato uno all’epoca di Manfredonia alla Roma”.
Tornando a oggi, ormai è quasi un anno che le curve e gli stadi italiani non sono popolati di persone.
“Il mio augurio è che quando tutta questa storia sarà finita si possa tornare a dare importanza a tutta quella gente che ogni domenica popola le tribune degli impianti. Questo è un patrimonio che va valorizzato, magari sperando di vedere sempre più persone invece che i soliti 30-40 mila a partita. Abbiamo capito in questo periodo che il calcio senza tifosi è diverso. E non sarà mai la stessa cosa”.
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