Quasi 1200 oggetti. Lucidi di sigle, animazioni, bozzetti, pellicole: la famiglia Gratton ha donato all’AS Roma l'intera opera di Piero.
Le sue opere, già custodite da oltre un anno presso l’Archivio Storico del Club, sono state tutte catalogate, digitalizzate e contestualizzate in un unico mosaico. Saranno, soprattutto, preservate.
In questa intervista, il figlio Michelangelo illustra le ragioni che hanno spinto la famiglia ad aggiungersi al lungo elenco dei donatori con un gesto straordinario: “Consegnare alla Roma i lavori di mio padre ne renderà eterno il ricordo”.
Michelangelo, cosa l’ha spinta a donare tutto il lavoro di suo padre all’Archivio dell’AS Roma?
“Una riflessione. Entrando nel suo studio, tu non respiravi la sua storia. Non c’era una locandina appesa, non c’era uno storyboard. Io volevo che i miei figli sapessero chi fosse stato il nonno: cosa sarebbe rimasto del suo ricordo? Mi piaceva l’idea che il suo lavoro potesse avere il giusto risalto. E non parlo solo del Lupetto. Perché Piero Gratton non è stato solo il papà del Lupetto”.
Questa è una convinzione abbastanza comune tra i romanisti.
“Fu definito il Walt Disney italiano. Su di lui furono scritti diversi articoli. Papà ebbe una carriera importante, contraddistinta da una serie di pietre miliari. Mi addolorava il pensiero che queste pietre potessero rimanere in una cantina, come se fossero scartoffie. Rovistando tra le sue cose, ho trovato del materiale meraviglioso, come lo storyboard della sigla di Odeon ( un rotocalco Rai degli anni 70, ndr)”.
Perché ha preferito che fosse proprio la Roma a custodire questo straordinario tesoro?
“Perché penso che la Roma possa dare risalto a tutta la storia di Piero Gratton. Io non avevo tempo, mezzi e forza per valorizzare questo patrimonio artistico, che ha rappresentato uno spaccato della nostra società. La Roma sì. Per la mia famiglia, questa donazione è un’opportunità. La tradizione è un valore importante: grazie a questo gesto, i miei figli potranno conoscere le loro origini”.
Prima ricordava come Piero Gratton non fosse stato solo l’ideatore del Lupetto. Cosa rappresenta suo padre per la Roma, secondo lei?
“È l’uomo che le ha dato un’identità visiva. Papà fu un pioniere, il logotipo AS Roma e il Lupetto segnarono una rivoluzione. E pur rompendo con il passato, pur essendo qualcosa di completamente diverso rispetto alla lupa capitolina, entrarono nel cuore e nella storia di una città. Ci sono tifosi che si sono tatuati il Lupetto. Significa che questo disegno fa parte ormai del tessuto di questa città”.
Cosa si prova a vedere che la prima maglia è un omaggio alla maglia “ghiacciolo” della Pouchain disegnata da suo padre e che sulla seconda spicca il Lupetto?
“Sono emozioni forti. Mi dispiace solo che papà non le abbia potuto vedere. È come se fosse ancora presente con noi. Con il suo lavoro, Piero Gratton si è conquistato una sorta di immortalità”.
Tra i circa 1200 oggetti donati, a quali si sente più affezionato?
“A quelli legati alla mia infanzia. Per esempio, ci sono dei pupazzetti fatti di cartone che papà disegnava e ritagliava. Venivano impiegati nelle sigle televisive. Piero nasce infatti come animatore, quindi aveva una grande manualità. Per me bambino, erano dei giocattoli. Oppure i lucidi della sigla di Gulliver, un rotocalco di Rai 2 accompagnata da note molto dolci, dalla voce di Angelo Branduardi. Quella sigla… (Michelangelo si commuove e resta in silenzio per qualche secondo, ndr) rimane tra i miei ricordi più belli”.
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Con la sua donazione, lei farà capire a molti tifosi quanto sia importante la memoria.
“La diversità è meravigliosa, ma non dobbiamo dimenticare la nostra identità. Quella di una famiglia, come quelle di una città e di una società di calcio. Un club deve avere cura della propria memoria. Specie un club come la Roma. Perché la Roma è Storia, con la esse maiuscola: la sua vita si intreccia con quelle di milioni di persone e con quella del nostro Paese”.
Cosa le manca di più di papà Piero?
“Qualcuno con cui litigare. Con lui discutevamo di tutto. Ma era mio padre. Guai a chi me lo toccava”.
La passione per la Roma gliel’ha trasmessa suo padre?
“Sì, è stato lui che mi ha insegnato ad amarla. Mi portò a vedere un Roma-Cagliari 2-0, ultima di campionato 1973-74. Papà non vide entrambi i gol perché era andato a prendere qualcosa da bere. Poi mi accompagnò negli spogliatoi”.
Qual è stato il suo idolo romanista?
“Di Bartolomei. Fu un capitano vero, oltre che una persona seria e molto sensibile. Mi identifico in Agostino. Mi identifico nella sua sofferenza”.
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