Abbiamo parlato con Jordan Veretout. Ecco la sua intervista presentata da Manpower Group.
Chi era Jordan da bambino?
“Ero un bambino tranquillo, mi piaceva tanto il calcio, ci giocavo anche da solo a casa. I miei genitori mi hanno regalato una palla appena ho iniziato a camminare, me l’hanno messa subito tra i piedi e io ho iniziato a calciarla. Ci giocavo in camera, in salone e mi capitava di rompere delle cose. Abitavo in un paese piccolo in cui ci conoscevamo tutti e nel pomeriggio giocavo insieme ai miei amici e tornavo a casa sempre sporco. Da piccolo mi piaceva solo il calcio, poi con il tempo ho iniziato a seguire anche altri sport come tennis, basket, pallamano”.
A che età hai iniziato ad andare a scuola calcio?
“Ho iniziato a cinque anni, con la squadra di Ancenis, dove sono nato. A 10 anni sono andato al Nantes. Ancenis si trova praticamente a metà strada tra Nantes e Angers dove ci sono due squadre di alto livello. I miei mi hanno chiesto dove preferissi andare a giocare e ho scelto il Nantes che era la squadra per cui tifavo, avevo la stanza piena di poster. Già seguivo la League 1, il sabato sera guardavo le partite. Quelle della domenica sera invece non potevo vederle perché il lunedì mattina dovevo andare a scuola. Del Nantes ricordo bene il campionato vinto nel 2001, avevo otto anni ed ero allo stadio nella partita decisiva contro il Saint-Etienne. È stata una bella festa”.
Chi era il tuo idolo?
“Mi piaceva tutta la squadra del Nantes, ma in particolare Marama Vahirua, mi piaceva la sua esultanza col gesto della pagaia. Seguivo Stéphane Ziani che poi è stato anche mio allenatore. Anche Eric Carriere. Poi più da grande ho iniziato ad ammirare anche Xavi, Andres Iniesta e Cesc Fabregas”.
A che età hai esordito col Nantes in prima squadra?
“A 18 anni, in League 2. L’allenatore era Landry Chauvin, uno che puntava molto i giovani e sulla loro crescita. Mi ha aiutato tanto, mi faceva giocare anche quando probabilmente non lo meritavo, aveva grande fiducia in me. Un altro allenatore che è stato molto importante per la mia crescita è stato Michel Der Zakarian. Lui aveva un approccio diverso, si concentrava molto sulla fase difensiva. Prima di lavorare con lui io pensavo solo a giocare verso la metà campo avversaria, ma il calcio e in particolare il ruolo di centrocampista è anche copertura. Nei tre anni con lui sono diventato più completo. Sotto la sua guida siamo risaliti in Ligue 1”.
Sei rimasto molto legato a tutti tuoi allenatori vero?
“Sì, tutti mi hanno aiutato, da Ziani che mi ha fatto crescere per arrivare in prima squadra, fino a Remi Gard nell’anno all’Aston Villa e poi Cristophe Galtier quando sono andato al Saint-Etienne. Galtier in particolare era molto bravo a parlare alla squadra e a gestire un gruppo. Devo ringraziare tanto anche Stefano Pioli che ha capito subito il mio modo di giocare, così come io ho capito come lui voleva che giocasse la squadra. Mi ha anche aiutato a capire la cultura italiana e le differenze rispetto a quella francese”.
Quasi tutti i grandi calciatori francesi finiscono a giocare nei campionati esteri: per un giovane, come è vissuta questa prospettiva?
“Squadre forti a cui puntare ci sono anche in Francia, io personalmente sono andato all’estero anche per conoscere altre culture. Credo che non si debba andare via da troppo giovani, ma quando si è pronti secondo me bisogna partire per maturare ancora di più e velocemente”.
Che ricordo hai della vittoria nel Mondiale Under 20?
“Il 2013 è stato bellissimo per me, perché con il Nantes siamo saliti in League 1 e poi è arrivata la Coppa del Mondo under 20 in Turchia. Avevamo una squadra fortissima, ci eravamo fissati l’obiettivo di vincere e lo abbiamo fatto. C’erano giocatori come Paul Pogba, Geoffrey Kondogbia, Alphonse Areola, Kurt Zouma, Samuel Umtiti, Lucas Digne, Florian Thauvin... Abbiamo vinto sul campo ma anche fuori. Siamo stati insieme quasi due mesi ed eravamo molto uniti, questa è stata questa la nostra forza oltre alla consapevolezza del nostro livello”.
L’anno in Premiere League invece non è stato positivo a livello di squadra. A livello personale com’è stato?
“Per l’Aston Villa è stato un anno negativo, terminato con la retrocessione, ma per me stata comunque un’esperienza positiva. Ho giocato, ho scoperto un altro Paese, un altro campionato, un’altra cultura.
C’erano anche aspetti negativi però. Quando ero a Nantes avevo tutta la famiglia con me, in Inghilterra mi sono ritrovato solo con mia moglie e nostra figlia di 15 giorni. In quella situazione o maturi velocemente o rischi di perderti. Poi abbiamo perso tante partite e rientrare a casa ogni volta dopo una sconfitta era pesante. In più a Birmingham il tempo era quasi sempre brutto, mia moglie non si trovava benissimo quindi al termine della stagione ho preferito tornare in Francia, al Saint-Etienne. Lì sono stato bene per un anno, ma avevo di nuovo voglia di un’esperienza all’estero, cercando di evitare qualche errore commesso in quella precedente. La Fiorentina mi ha cercato e ho pensato che Firenze fosse una buona occasione. E lo è stata, visto che mi trovo molto bene in Italia”.
A Firenze hai vissuto due anni positivi sul campo ma anche il grande dolore per la scomparsa improvvisa di Davide Astori. Come si riparte come squadra da una tragedia del genere?
“La prima settimana è stata difficile, Astori aveva una grande personalità, era il capitano. Quando sono arrivato in Italia e non parlavo la lingua lui mi ha aiutato moltissimo.
Quello che noi compagni ci siamo detti per ripartire è che lui era un guerriero sul campo e noi dovevamo diventare come lui. E così abbiamo vinto una partita, due, tre, quattro, cinque, sei consecutive.
La vita è andata avanti ma lui è ancora dentro di noi. Ancora oggi io penso spesso a lui. Dobbiamo vivere per lui, se oggi do tutto sul campo è anche perché sono ispirato da un capitano come lui, che metteva tutta la sua grinta negli allenamenti e nelle partite.
Della prima partita giocata senza di lui contro il Benevento ho una foto a casa di tutti noi della Fiorentina a terra dopo la fine dopo il triplice fischio. Eravamo travolti dalle emozioni”.
La vita è andata avanti ma Davide è ancora dentro di noi. Ancora oggi io penso spesso a lui. Dobbiamo vivere per lui. Se oggi do tutto sul campo è anche perché sono ispirato da un capitano come lui
- Jordan Veretout
Quest’estate sei arrivato alla Roma. Come ti trovi con mister Fonseca?
“Mi trovo molto bene, quando per la prima volta mi ha chiamato mi ha convinto del fatto che mi volesse e sono contento di essere venuto a Roma, in una grande squadra, con grandi tifosi e un grande allenatore come lui che mi ha già aiutato e potrà solo farmi crescere di più”.
La tua prima giocata che è rimasta impressa ai tifosi giallorossi è l’azione che ha portato al gol vittoria di Dzeko a Bologna…
“Sì quella di Bologna è stata una bella azione, ma non è stata l’azione di Veretout, è tutta la squadra che ha fatto l’azione”.
Poi contro il Napoli è arrivato il tuo primo in gol all’Olimpico, dal dischetto. Cosa hai provato in quei momenti?
“È stata un’emozione molto forte, fare un gol allo Stadio Olimpico davanti ai tifosi della Roma è bellissimo, poi contro una grande squadra lo è ancora di più. Ricordo che quando Edin mi ha dato il pallone per calciare il rigore, ho guardato subito Kolarov perché il rigorista era lui. Ne aveva sbagliato uno nel primo tempo e mi ha detto ‘Vai Jordan!’. Prima di calciare mi sono passate mille cose per la testa ma alla fine è andata bene”.
Ora che il calcio si è fermato, come quasi tutto il resto, come stai vivendo le tue giornate?
“Ora ho più tempo da passare con la mia famiglia, mi piace molto stare a casa con loro perché per tutto l’anno viaggio tanto per il calcio e un aspetto positivo di questa emergenza è il poter passare più tempo con loro. Ovviamente spero che tutto si risolva al più presto, che si possa tornare a giocare e soprattutto che si possa porre fine al pericolo del Coronavirus, però cerco di godermi il tempo che posso passare con la mia famiglia”.
Cosa ti manca di più della vita normale?
“Mi manca giocare a calcio perché è la mia passione e lo faccio da sempre. La mia vita è questa: la famiglia e il calcio. Quando manca una delle due cose è difficile. Mi manca tanto andare al campo di allenamento, parlare con i miei compagni, giocare a calcio. Anche i miei parenti in Francia ora sono nella nostra stessa situazione, stanno tutti bene ma come noi non possono uscire. Dico a tutti di restare a casa il più possibile perché è pericoloso uscire”.
Hai seguito le attività di Roma Cares di questi giorni?
“Sì, sono molto felice della mia Società, ha fatto delle cose molto importanti per Roma e per i suoi cittadini. Un atteggiamento come questo ci rende orgogliosi”.
È difficile doversi allenare da soli?
“Sì, molto ma lo dobbiamo fare per forza. Spero che la situazione migliori al più presto perché allenarsi da soli non è facile. Una settimana va bene, ma dopo 15 giorni o tre settimane diventa dura. Però ci aiuta il fatto che siamo seguiti quotidianamente con i programmi dello staff. Io svolgo il lavoro a volte la mattina, altre il pomeriggio, dipende dalla giornata. Ho il tapis roulant e anche altra attrezzattura che ci è stata messa a disposizione”.
E con l’alimentazione come siete organizzati?
“Il nostro nutrizionista Guido Rillo manda programmi settimanali per non farci prendere peso. Tutti i giorni dobbiamo pesarci per aggiornarlo. La Società, lo staff tecnico e quello medico ci seguono sempre, tutti i giorni: come passiamo la giornata, come abbiamo fatto l’allenamento, sono sempre presenti”.
Da calciatore, che effetto fa sapere che tutto il calcio mondiale è fermo?
“È strano. Da un lato dà la portata della gravità della situazione, dall’altro ti cambia la quotidianità anche a casa. Io sono abituato a guardare sempre partite e ora non c’è una parte del mondo in cui ce ne siano”.
Non guardando il calcio, come passi il tempo?
“Guardo ancora più serie tv, mi piace molto. In questi giorni ho guardato Validé, una serie francese, racconta di un giovane che deve entrare nel mondo della musica con tutte le difficoltà che questo comporta. Io so cosa vuol dire provare a emergere nel mondo del calcio e trovo interessante scoprire come si vive questa situazione nel mondo della musica. Altre serie che ho visto e mi sono piaciute sono Peaky Blinders, Games of Thrones, Power e Gomorra”.
Invece con i videogiochi come te la cavi?
“Qualche volta con i miei amici francesi ci sfidiamo a FIFA, ma non sono un grande giocatore. Facciamo vari campionati, in quello italiano ovviamente scelgo la Roma”.
Pensando al futuro anche dopo il calcio: prevedi di tornare in Francia?
“In Italia sono molto contento, mi trovo molto bene. Per il momento tornare in Francia non è una mia priorità. Spero di restare più a lungo possibile a Roma perché mi piacerebbe vincere qualcosa con questa maglia. Sarebbe la cosa più bella”.