Serie A, Domenica, 24 NOV, 18:00 CET
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    Questo sono io, Gianluca Mancini


    Il calcio, la famiglia, gli amici, il tempo libero e il lavoro: scopriamo di più sul nuovo difensore giallorosso.

    Chi era Gianluca Mancini da bambino?

    “Sono nato a Pontedera, ma sono cresciuto a Montopoli. La mia famiglia aveva un’azienda di produzione di mele e pere. Sono cresciuto in campagna, assieme ad amici e cugini. Ho giocato a tanti sport da bambino, li ho provati tutti, finché non ho preso la via del calcio”.

    Quali sono gli altri sport che hai provato?

    “Quasi tutti. Mi comprarono un canestro e a casa giocavo a basket, non ero in una squadra vera e propria. Ho provato nuoto, ciclismo. Poi a otto o nove anni ho capito che il calcio sarebbe stato il mio sport”.

    Si racconta che sei stato scoperto da un allenatore mentre giocavi con altri bambini in una festa al tuo paese. È vera questa storia?

    “Avevo sette anni e mio padre mi considerava troppo piccolo per farmi giocare in una squadra. Questo allenatore, Giuseppe Aurilia, era un amico di famiglia, mi vide con il pallone tra i piedi e disse: ‘Perché non ti unisci alla nostra squadra?’. I miei genitori inizialmente non volevano e lui disse: ’Se non me lo portate me lo vengo a prendere io’. E loro si convinsero. Il campo era davvero vicino e potevo andarci a piedi attraversando la nostra terra agricola”.

    In quale categoria hai iniziato?

    “Dai pulcini. Poi un osservatore della Fiorentina mi vide giocare. Dopo quattro giorni di provini a Firenze mi presero. Lì ho fatto tutta la trafila delle giovanili, dai nove ai diciannove anni. Ogni stagione la concludevo con la paura di non essere riconfermato, perché in quelle categorie funziona così, ma sono riuscito ad arrivare fino alla Primavera. È stata una bellissima esperienza di formazione a livello calcistico e a livello personale”.

    Ti sei trasferito a Firenze?

    “No, sono rimasto a casa per stare vicino ai miei ai miei amici. Andavo con il pulmino, oppure mi portava mia madre quando non lavorava. Ero a mezz’ora di distanza”.

    C’è stato un momento in cui hai pensato che non saresti riuscito a fare il calciatore?

    “Prima di trasferirmi a Firenze ero un po’ titubante. Mi ricordo una sera piena di dubbi, non volevo allontanarmi dai miei amici. Poi la mattina dopo dissi a mia madre che avevo scelto di fare questa esperienza. I miei genitori non mi hanno mai fatto pressione e mi hanno sempre permesso di scegliere. Mia madre non capisce molto di calcio e mio padre non ha mai esagerato con i complimenti, questa è stata la mia fortuna perché a volte i genitori pressano troppo e fanno credere ai figli cose che non ci sono. Ho sempre vissuto questo percorso con la massima tranquillità”.

    Hai sempre giocato come difensore?

    “Nelle giovanili ho provato tutti i ruoli, come è giusto che sia. Dal primo anno di Primavera mi hanno spostato in difesa e non mi sono più mosso: quella è stata la mia fortuna”.

    È da questa esperienza nei ruoli più avanzati che deriva la tua propensione al gol?

    “Non saprei. Noi difensori segniamo spesso con i calci piazzati. Se hai la fortuna di giocare con compagni che mettono buoni palloni, serve la cattiveria per inserirsi al momento giusto. Io quando sono lì davanti a ogni calcio d’angolo o punizione mi dico sempre: ‘Ora la butto dentro!’”.

    Quando hai pensato di avercela finalmente fatta?

    “Non voglio passare per quello che fa troppo l’umile, ma nemmeno oggi mi dico di avercela fatta. Sono giovane e devo fare ancora tanto, anche se sono consapevole di essere arrivato in una squadra importante. Ovviamente ci ho pensato al mio esordio in Serie A con l’Atalanta, a Firenze, contro la Fiorentina. Lì ho coronato il mio sogno, ma c’è ancora tanta strada”.

    L’esordio contro la Fiorentina è stato emozionante?

    “Un segno del destino. Sono cresciuto lì, tanti amici mi sono venuti a vedere. C’erano i dirigenti che mi hanno visto crescere. È stata una bella emozione”.

    Prima dell’Atalanta c’è stata l’esperienza al Perugia. Quel periodo cosa ti ha insegnato?

    “È stata un’esperienza fondamentale: il primo passo da un settore giovanile a un campionato di professionisti, con gente più grande di me e tanta esperienza sulle spalle, per la prima volta lontano da casa. Ero abituato a stare sempre vicino alla mia famiglia, con amici, fidanzata e famiglia, quando mi sono ritrovato all’improvviso lontano da loro: non mi sentivo a mio agio. Tutto questo, però, mi ha fatto crescere. Ho capito com’è il calcio dei professionisti ed è stata una bella esperienza. In panchina c’era Pierpaolo Bisoli, che mi ha insegnato tante cose. All’inizio non giocavo, ero giovane e gli allenatori devono essere bravi a non bruciarti. A gennaio c’era la possibilità di andare in prestito ma io scelsi di restare lì, concludendo l’anno con quattordici presenze”.

    Lì hai conosciuto il tuo idolo Materazzi?

    “Sì. Uno dei miei tatuaggi è legato a lui e un massaggiatore del Perugia quando lo scoprì gli inviò una foto. Marco gli rispose e promise di incontrarmi una volta tornato lì e così è stato. Il 23 della mia maglia è dedicato sia a lui sia al giorno in cui mi sono fidanzato con la mia compagna”.

    Poi sei andato in prestito all’Atalanta a gennaio del 2017, com’è stata l’esperienza con Gasperini?

    “Dopo altri sei mesi a Perugia, a gennaio sono andato a Bergamo. Ero convinto che il lavoro svolto in Serie B andasse bene, ma non era così: il salto è davvero grande. Mister Gasperini ha cambiato totalmente il mio modo di lavorare, a livello mentale e fisico. Gli allenamenti erano davvero intensi, all’inizio non pensavo di farcela, ma è tutta una questione di abitudine”.

    C’è una partita della tua carriera che ricordi con più piacere?

    “Il 4-1 all’Inter, a Bergamo, con l’Atalanta. Battere una squadra importante fu molto bello. La più emozionante di tutte, però, è l’esordio in Nazionale, è stata una cosa unica. All’inno mi veniva da piangere, non ci credevo. Ero accanto a giocatori come Verratti, Florenzi, Bonucci. Per tanti anni li ho visti vestire quella maglia ed ero accanto a loro”.

    Quanto punti all’Europeo?

    “Giocare con la maglia della propria nazionale è la cosa più bella che ci sia per un calciatore. Tutto passa per quello che fai nel Club, però, e io farò il massimo per guadagnarmi la convocazione”.

    Com’è cambiata la tua vita in questi ultimi anni di Serie A?

    “Fino a oggi sono rimasto il Gianluca di sempre. Ovviamente qualcosa lo vedo che sta cambiando, quando torni al paese di chiedono un selfie in più. Ma io quando sono lì vado sempre al bar in cui sono cresciuto con i miei amici e sono il Gianluca di prima, rimango uguale”.

    Chi è il tuo migliore amico nella vita?

    “Il mio migliore amico si chiama Albano e ci ho giocato sempre a pallone. Poi c’è Lorenzo, mio cugino, che è come se fosse un fratello. Siamo cresciuti insieme in campagna, dove vivevo con i miei”.

    Nel calcio a chi sei più legato?

    “Ho avuto un buon rapporto con tutti. Qui ho ritrovato Spinazzola, con cui abbiamo giocato insieme a Perugia e a Bergamo, dove eravamo anche compagni di stanza. E all’Atalanta ho legato tanto con Caldara”.

    Qual è la tua giornata tipo?

    “Mi piace uscire con la mia compagna Elisa e cenare a casa con lei, perché come cuoca è la numero uno. Se vengono gli amici a trovarci usciamo un po’ di più, ma in generale mi piace vivere le giornate il relax”.

    Avevi mai visitato Roma prima del tuo arrivo qui?

    “Un po’ di tempo fa sono venuto per tre giorni con la mia compagna e ce la siamo girata per bene, è una città speciale, ogni vicolo ti regala qualcosa di unico”.

    Cosa hai pensato quando ti hanno proposto di venire a Roma?

    “Quando il mio procuratore mi ha prospettato questa possibilità gli ho detto senza esitare: ‘Voglio andare’. Qui sono passati tanti campioni, è un onore rappresentare questa maglia. È una piazza che mi è sempre piaciuta. Roma ti dà un senso di magia. I tifosi sono calorosi e io sono fiero di poter giocare qui”.

    Che impressione ti ha fatto Paulo Fonseca?

    “Una buonissima impressione. È sicuro di sé, delle sue idee. È molto diretto e ti dice apertamente se fai bene o male. Siamo all’inizio, ma mi ha subito fatto una buona impressione. Dialoga molto con il gruppo e con i singoli, come è giusto che sia. L’intensità degli allenamenti è alta, i primi giorni sono rimasto a bocca aperta. Questi sono gli allenamenti giusti per trovare la buona condizione per l’inizio del campionato”.

    Come ti sei trovato con i nuovi compagni di squadra?

    “Mi sembra quasi di non aver cambiato squadra: i compagni sono eccellenti e mi hanno accolto alla grande. Molti degli italiani li conoscevo. Kolarov l’ho visto tanto da piccolo, in televisione mi ha sempre colpito e dal vivo lo ha fatto ancora di più a livello caratteriale: sa dirti la parola giusta al momento giusto”.

    Qual è il consiglio migliore che hai ricevuto in carriera e chi te lo ha dato?

    “Mio papà mi ha sempre detto di allenarmi al massimo: testa bassa e pedalare. Io l’ho sempre ascoltato. Dopo una partita fatta bene non ci si può rilassare. Anche perché il calcio è pieno di squali”.

    Hai un messaggio per i tifosi?

    “Da parte mia vedranno sempre massimo impegno per questa maglia. È un motivo di orgoglio essere qui. Dobbiamo cercare di creare qualcosa di nuovo per arrivare a grandi obiettivi. Il gruppo è giovane, siamo all’inizio, ma da parte nostra ci sarà il massimo impegno in allenamento e in partita”.