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    Questo sono io, Leonardo Spinazzola


    In questa intervista esclusiva ad asroma.com abbiamo chiesto a Leonardo Spinazzola di raccontarci qualcosa in più sulla sua carriera e sulla sua vita

    A 14 anni ha lasciato la sua Foligno per realizzare il sogno della vita: giocare a pallone. Adesso è un calciatore professionista, ha esordito in Champions League e con la Nazionale Italiana, da poche settimane è uno dei volti nuovi della Roma di Fonseca.

    Il calcio, la famiglia, gli amici, il tempo libero e il lavoro: ecco chi è Leonardo Spinazzola.

    Partiamo dall’inizio. Chi era Leonardo Spinazzola da bambino?

    “Ero calcio e poi ancora calcio. Dalla mattina alla sera giocavo con il pallone sotto casa. Abitavo a Foligno in un quartiere dove c’era una pista di pattinaggio che noi bambini della zona usavamo come nostro campo ufficiale. Si partiva alle 10, poi dopo il pranzo alle 16 tutti di nuovo giù per fare il torneo del pomeriggio. Giusto una pausa per la cena e alle 22 ero ancora in strada per partita e nascondino finale.”

    Con quale squadra hai iniziato a giocare?

    “A 5 anni con una polisportiva che era vicino casa, la Virtus Foligno, con cui ho iniziato con la categoria ‘primi calci’ e ho continuato fino ai 14”.

    Hai sempre voluto fare il calciatore o hai fatto anche altri sport?

    “No, mai avuto dubbi. Ho sempre e solo amato il pallone!”.

    Chi era il tuo idolo da bambino?

    “Ronaldo Nazario da Lima, il Fenomeno. Mi ricordo che a casa vedevo la sua cassetta VHS che mio padre mi aveva comprato in edicola, poi scendevo sotto casa e cercavo di provare i numeri e i gol che avevo appena visto. Ho seguito molto anche Rui Costa e Batistuta. Mi piaceva molto l’ex attaccante giallorosso: quando esultavo con la Virtus Foligno mimavo il gesto della mitraglia come lui… ho anche delle videocassette dove sono immortalato a esultare così”.

    Hai giocato sempre da terzino?

    “No, da piccolo giocavo come attaccante e fino a 12 anni facevo anche gol, poi ho smesso! (ride, ndr)”.

    Chi ti ha fatto cambiare posizione in campo?

    “La prima volta che mi hanno messo a fare il quinto a centrocampo ero a Siena in Serie B, però mi ricordo che già quando avevo 16 anni l’allora tecnico della Primavera Marco Baroni mi disse che per fare strada nel calcio avrei dovuto giocare terzino. Io inizialmente non ero d’accordo: volevo fare l’esterno alto, ma poi, piano piano, negli anni successivi mi sono abbassato. Dopo Siena, nella prima esperienza all’Atalanta con Colantuono sono tornato alto, ma, quando sono andato a Perugia nel 2015, mister Bisoli mi ha spostato terzino e poi di base sono rimasto lì anche nelle esperienze successive”.

    C’è stato un momento in cui hai pensato che non saresti riuscito a fare il calciatore?

    “Il primo anno a Siena, quando sono andato via di casa a 14 anni: era dura vivere da solo lontano da famiglia e amici. Non solo questo: è che mi feci subito male alla caviglia e tra le altre cose dovevo fare un sacco di strada con le stampelle per andare e tornare da scuola. Poi quando ho ripreso l’attività, dopo qualche settimana mi sono stirato. In quel momento ho chiamato casa e ho detto ‘Venitemi a prendere, torno. Non ce la faccio’. Mia madre in quel momento, assieme a mio padre, fu decisiva: mi ha consigliato di stringere i denti e di continuare a provare… e aveva ragione. Da marzo in poi tutto andò molto meglio”.

    Sei stato mandato in prestito molte volte: avresti preferito un po’ più di stabilità?

    “Essendo acquistato da un club come la Juventus da giovane, era normale per me fare un po’ di gavetta in società più piccole. All’inizio è stata dura trovare spazio. Poi dal 2015-16, dall’esperienza di Perugia in poi, ho trovato la continuità che mi serviva”.

    Come è cambiata la tua vita in questi ultimi anni di Serie A?

    “A livello di visibilità è cambiata, questo sì. Ma io sono rimasto lo stesso Leonardo di sempre. Ovviamente dopo Bergamo e soprattutto quando sono arrivato a Torino la gente ha iniziato a riconoscermi di più quando sono in giro”.

    Nella tua crescita professionale, i due anni a Bergamo sono stati decisivi…

    “All’Atalanta con Gasperini ho imparato a sostenere ritmi alti in campo. Lui ti fa lavorare in allenamento in maniera molto intensa, al punto che quando giochi la partita ti sembra quasi una passeggiata. Davvero, giochi le gare quasi come fossero uno scarico, perché durante la settimana lavori in maniera impressionante. Sa poi trasmettere bene quello che vuole in campo: in partita sai bene quello che devi fare. Certe idee di Gasperini, nel modo di interpretare e vedere il calcio, le ho ritrovate in mister Fonseca”.

    Cosa hai imparato nel tuo anno alla Juventus?

    “Tanto, in campo e fuori. Come diceva Allegri, per stare lì devi essere un campione anche mentalmente. Ti alleni con tanti fenomeni, che lo sono in campo ma soprattutto nella testa. Ho imparato soprattutto quale livello di attenzione ci vuole tutto l’anno in allenamento e in gara, che alla fine è quello che fa la differenza”.

    La partita che finora ricordi con più piacere in carriera?

    “Ovviamente per importanza il 3-0 all’Atletico Madrid lo scorso anno nel ritorno degli ottavi di Champions League a Torino, ma non è stata quella la mia miglior prestazione della carriera. Con l’Atalanta ho fatto delle gare migliori. Una su tutte? La sfida a Dortmund al Signal Iduna Park contro il Borussia in Europa League nel febbraio 2018. Quella è stata la mia prima bella esperienza europea”.

    Chi è il tuo migliore amico nella vita?

    “Siamo un gruppo di quattro amici che ci conosciamo da una vita: io, Marco, Luca e Dino. Giocavamo insieme da piccoli alla Virtus Foligno e siamo rimasti legati. Mi sono venuti a trovare dovunque ho giocato. Adesso poi che sono qui a Roma sono più vicini e li vedrò ancora più spesso”.

    Nel calcio a chi sei più legato?

    “A Rafael Toloi e a Gianluca Mancini, che ho ritrovato qui a Trigoria dopo che abbiamo giocato insieme non solo a Bergamo ma anche a Perugia. Già in Umbria avevamo legato molto, a Bergamo eravamo anche compagni di stanza nelle trasferte. Sono contento che sia arrivato anche lui alla Roma”.

    Qual è una giornata tipo di Leonardo Spinazzola?

    “La mattina presto porto fuori Yago, il mio labrador, poi da quando è nato mio figlio Mattia, è lui che riempie le giornate a me e mia moglie Miriam: è uno spettacolo. Dopo gli allenamenti facciamo spesso delle passeggiate tutti insieme, con famiglia e cane”.

    Come spendi il tuo tempo libero?

    “Prima giocavo tanto alla PlayStation: da quando vivo con mia moglie ovviamente no, non è carino. Vediamo spesso insieme le serie TV e sentiamo molta musica. Siamo andati recentemente insieme al concerto di Beyoncé a Milano, che è stato stupendo: lei è un’artista meravigliosa. Anche mio figlio Mattia, che al momento ha solo 14 mesi, si mette a ballare davanti alla tv quando sente la musica”.

    Quanto ti ha cambiato la paternità?

    “Tantissimo. Prima ragionavo ancora da ragazzo, ma con l’arrivo di Mattia mi sento addosso una responsabilità diversa. Non sono mai stato un pazzo fuori dal campo, ma adesso mi sento più tranquillo e soprattutto sono più felice”.

    Quanti tatuaggi hai?

    “Ho il simbolo dell’infinito che ho fatto insieme a mia moglie e poi ho un tatuaggio maori sul braccio destro, che ha al suo interno diversi simboli che rappresentano la famiglia, l’amore, la forza e la fortuna. Ora dopo la nascita di mio figlio ne voglio fare un altro sull’altro braccio che sia legato in qualche modo a lui”.

    Finora hai 7 presenze in azzurro: cosa vuol dire per te indossare la maglia dell'Italia?

    “Da bambino guardavo le partite della Nazionale incollato alla TV: ora giocarci, sapere che sono io lì dall’altra parte dello schermo e che tutti gli italiani mi guardano, è bellissimo. L’esordio in azzurro è stato davvero speciale, ad Amsterdam, nella gara poi vinta contro l’Olanda: quel momento mi ha dato ancora più autostima”.

    Quanto è importante per te l’obiettivo degli Europei?

    “È importante per tutti, per il calcio italiano, per noi giocatori, per ogni tifoso del nostro paese. Io non ho mai giocato una competizione del genere, nemmeno nelle giovanili, quindi sono ancora più motivato”.

    Ora sei un giocatore della Roma: come rappresenta per te?

    “Per me è sempre stata una grande società e una grande piazza, con grandi giocatori e squadre allestite per fare bene. Giocare all'Olimpico è poi sempre bellissimo, per lo stadio, per i tifosi e per il calore della gente. Questo è un passo importante della mia carriera e voglio onorarlo al meglio”.

    Le tue prime impressioni sulla squadra e i compagni?

    “Siamo un gruppo nuovo. C’è un'aria positiva. Ci sono molti giovani, motivati, che stanno lavorando bene e con lo spirito giusto. Ci vuole tempo, visto che siamo una squadra molto diversa, con un allenatore nuovo. Ma, ripeto, nei miei compagni e nello staff vedo molto entusiasmo, carica e grande motivazione”.

    Che impressione ti ha fatto Paulo Fonseca?

    “Come detto, in lui rivedo delle idee che ho già conosciuto in campo ai tempi di Bergamo. Mi piace questa sua visione del calcio. Il Mister è una persona molto diretta in campo, sa quello che vuole vedere e riesce a trasmetterlo. Vuole la difesa molto corta e stiamo studiando movimenti anche nuovi per me. Poi anche in attacco gli esterni alti devono essere bravi a svolgere più compiti. Lavora molto sui singoli reparti”.

    Hai un messaggio per i tifosi della Roma?

    “Dobbiamo stare tutti uniti, abbiamo lo stesso obiettivo, il bene della Roma. Il nostro lavoro è quello di giocare al meglio con l’obiettivo di vincere sempre. Poi ci si può riuscire o meno ma bisogna puntare a quello. E per farlo bisogna lavorare al massimo in allenamento. Ecco, io a loro posso dire che l’impegno in questa direzione sarà massimo”.