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    Gli uomini dello staff di De Rossi: Simone Beccaccioli


    Simone Beccaccioli è un collaboratore tecnico dello staff di mister De Rossi. È tornato nella Roma dopo circa cinque anni tra Cagliari e Napoli.

    E lui, nella Roma, ci era stato 9 stagioni, iniziando dal primo Ranieri nel 2010-11. “Poi, nel 2019 andai via. E mi dispiacque. Ma sapevo che prima o poi, almeno con Daniele, ci saremmo incrociati di nuovo…”.

    E alla fine è tornato a Trigoria, proprio con il suo amico De Rossi in panchina.

    “Da tanti anni parliamo con Daniele che avremmo lavorato insieme, una volta che lui sarebbe diventato allenatore. Me lo diceva già nel 2014, dieci anni fa. Lui aveva già le idee chiarissime su quello che voleva fare e come lo doveva fare”.

    Inoltre, avete condiviso anche anni di settore giovanile nella Roma, entrambi da calciatori, entrambi del 1983. 

    “Sì, ci conosciamo da poco meno di trent’anni. Con lui e anche con Lele Mancini. Siamo dello stesso anno. Ovviamente, da piccoli giocavamo a due sport diversi... Daniele ha fatto una carriera nel calcio, io un’altra. Ma, come già detto, l’obiettivo di entrambi era di ricongiungersi prima o poi. Ringrazio lui e la Proprietà del Club per questa opportunità. E la mia gratitudine va anche al resto dello staff, un gruppo di lavoro molto affiatato, che ha già vissuto delle esperienze intense insieme, ma mi ha accolto da subito come se fossi uno di loro da sempre. C’è stata fin da subito grande intesa tra di noi, per me è un onore far parte di questo gruppo, guidato da mister De Rossi”.

    A questo proposito, come l’ha ritrovato in questa nuova veste di allenatore?

    “Lo dico sinceramente, sembra che faccia questo mestiere da 20 anni. È un vulcano di idee, è in controllo di ogni cosa, anche su aspetti che esternamente potrebbero sembrare marginali. A volte si abusa del termine “manager all’inglese”, ma in questo caso può starci per far capire il senso, per come Daniele sia davvero attento a qualsiasi dettaglio. Ha un’apertura mentale su tutto quanto. Io pensavo fosse interessato quasi esclusivamente al gioco, alla tattica, in realtà ha la capacità mentale di stare su ogni cosa. E poi, con noi dello staff non ti dico…”.

    Dica pure, invece.

    “Ascolta tutti, ci coinvolge di continuo, tutti lavorano su ogni cosa, in un ambiente ideale, dove è un piacere starci e confrontarsi. Ma, cosa ancora più importante, fa lo stesso con i calciatori. Con l’autorità giusta. Lui si rapporta allo stesso modo con chiunque, senza vedere il nome o la storia del giocatore. Sono davvero contento di essere tornato, sto vivendo un sogno”.

    Nonostante, lei, arrivi dal Napoli, dove due anni fa ha fatto parte dello staff tecnico campione d’Italia di Luciano Spalletti.

    “Vero, a Napoli ho vissuto qualcosa di eccezionale, grazie a mister Spalletti che mi ha voluto lì. Uno scudetto vinto in quella maniera… Poi, però, quando si è aperta la possibilità di tornare a Trigoria per lavorare con Daniele, non ci ho pensato nemmeno un secondo ed è diventato il mio unico desiderio, a qualsiasi costo. Dopo tanti giri, tanti allenatori ed esperienze diverse, lavorare con lui è la chiusura del cerchio, il passo che reputo più importante per migliorare e possibilmente completarmi. Farlo nella Roma è la ciliegina, ma con lui sarei andato in qualsiasi serie, a qualsiasi latitudine”.

    Sentirlo da uno che ha lavorato con tanti e diversi allenatori, fa effetto. Anche perché ha avuto a che fare con professionisti del calibro di Ranieri, Montella, Luis Enrique, Zeman, Andreazzoli, Garcia, Spalletti, Di Francesco, ancora Ranieri. 

    “Questi menzionati tutti nella Roma e con altri ci ho lavorato ancora anche altrove. Penso a Di Francesco a Cagliari, Spalletti e Garcia a Napoli. Ma è nella Roma che ho costruito la mia carriera, anche se in precedenza avevo già lavorato in Nazionale per 4 anni, dove avevo condiviso con Daniele anche quel periodo, vivendo pure il meraviglioso Mondiale del 2006, da giovane assistente nello staff di mister Lippi. Qui in giallorosso conservo tanti ricordi…”.

    Se dovesse citarne solo uno?

    “Beh, dico Roma-Barcellona 3-0 senza dubbio. Lì, mister Di Francesco, che per me è un ottimo allenatore di campo, ebbe l’intuizione della difesa a tre”.

    Rispetto a quegli anni, il suo ruolo nello staff è cambiato?

    “Adesso lavoro più sul campo rispetto a prima in cui ero più un match analyst, ma i due ruoli ormai possono essere sovrapponibili, sono molto vicini. Il passaggio dal video al campo è una naturale conseguenza. La parte delle immagini è diventata fondamentale per dare ai calciatori tutti quegli strumenti per conoscere cosa devono fare in campo e come devono affrontare gli avversari. Lavori con l’allenatore, lo staff, il direttore sportivo. Per dire, benché lavorassi come match analyst, a Sabatini e allo scouting dedicavo il maggior numero ore di lavoro della mia giornata”.

    Ora, invece, le sue ore di lavoro le dedicherà quasi solo a De Rossi.

    “Mi ripeto: sto vivendo un momento molto bello da un punto di vista professionale. Abbiamo menzionato Spalletti, ci tengo a sottolineare un aspetto: la grandezza di Daniele – che ricorda molto il mister in questo – è quella di non avere dogmi calcistici. “Si fa ciò che serve”, ripete lui spesso senza legarsi a ideologie estreme. 

    Lavorare con un allenatore con un'apertura mentale a 360 gradi e che non esclude nulla a priori è il massimo per uno chi studia costantemente il calcio come me. Avere possibilità di proporre liberamente idee o possibili soluzioni è come per un bambino passare tutte le giornate al luna park, è davvero appagante. Anche in questo aspetto si capisce quanto sia meticoloso e geniale nel suo ruolo, perché Daniele qualsiasi cosa gli dici, te la ridà indietro sempre razionalizzata e perfezionata. Inoltre, vorrei sottolineare un altro concetto…”.

    Prego.

    “Ormai il calcio sta andando verso una dimensione “universale” in tutti i sensi… Per me, l’obiettivo di ogni squadra è trovare – a prescindere dalle ideologie – il proprio equilibrio, quello che l’allenatore ritiene opportuno, perfezionando sempre di più la fase “invisibile”, quella che divide la fase di non possesso e quella di possesso… e viceversa. È tutto talmente veloce che essere pronti a questo switch può diventare decisivo. Stiamo lavorando bene anche in questo senso”.