Eppure, Kevin Strootman la Roma la sente una cosa sua, anche se il professionista ha preso altre strade ad un certo punto della carriera. Lo ha dimostrato sempre, lo ha confermato – qualora ce ne fosse bisogno – dopo l’ultimo Roma-Genoa, andandosi a prendere l’applauso, il tributo, prima della Curva Sud e poi di tutto lo stadio Olimpico.
Lui, che questo tempio lo aveva conosciuto tra il 2013 e il 2018. “Cinque anni, i migliori anni della mia carriera. Non possono non essere legato a questa squadra, a questi tifosi che non mi hanno mai lasciato solo, nemmeno nei momenti più difficili”. Attimi, parole, che hanno toccato il cuore di tanti appassionati romanisti, vedendo questo gigante emozionarsi visibilmente al cospetto di una piazza che l’ha coccolato dall’inizio.
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Non è l’unica storia così, non è un caso isolato. Non può esserlo perché questo Club è una roba diversa. “Quando tocchi la Roma non la dimentichi mai”. Lo disse qualche anno fa in un’intervista Sebastian Cejas, un portiere argentino che questa maglia l’ha vestita in due gare ufficiali. Due.
Aveva fatto effetto sentire David Pizarro, intervistato da Sky Sport, pronunciare queste parole durante gli Internazionali di Tennis al Foro Italico: “Io non sono nato romanista, ma morirò romanista”.
Lui, il “Pek”, cileno di Valparaiso, che pure prima di accettare la Roma nell'estate del 2006 più di qualche dubbio lo assalì. Ci volle anche una telefonata di Totti per convincerlo definitivamente ad accettare la destinazione. Ma, poi, col tempo ha capito. Indossando questi colori 207 volte. Ha giocato a Udine tanti anni, a Firenze altrettanti anni, è stato all’Inter, al Manchester City: niente da fare, “morirò romanista”.
Se ne possono menzionare tanti tanti altri. Così, in ordine sparso, viaggiando liberamente tra varie epoche: Giacomo Losi dalla provincia di Cremona è diventato per sempre “Core de Roma”. Marco Delvecchio si definisce “un romano nato a Milano”. Damiano Tommasi, sindaco di Verona e nativo di Negrar, ha persino scritto un libro sulla storia della Roma.
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Di Verona era anche Guido Masetti, “il primo portiere” della Roma di Testaccio. Ruggiero Rizzitelli – che per la Roma ha pianto più volte – è diventato talmente romanista da dedicarle anche una parte di casa sua con duemila oggetti. Philippe Mexes fu insignito dal regista Luigi Magni di un premio che più romano non si può, “Er mejo fico der Bigonzo”. Rudi Voeller, il tedesco volante, dedicò la Coppa dei Campioni vinta con il Marsiglia alla Roma e ai romanisti. Stessa cosa che fecero Luis Enrique e Toni Rudiger dopo le rispettive Champions League alzate con Barcellona e Chelsea.
Max Tonetto da Trieste non se ne è più andato da Roma. Così come il suo collega dell’altra fascia, Marco Cassetti di Brescia. Per non parlare di Vincent Candela, arrivato qui nel 1997 dalla Francia, e diventato un altro figlio di questa città. Si è aperto un ristorante ai Castelli. Così come Pedro Manfredini, che per anni ha avuto un bar a Ostia. Tonino Cerezo addirittura è convinto che "il cuore di Dio è giallorosso".
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Radja Nainggolan, con la sua cadenza belga-romanesca inconfondibile. Ha lottato in campo e oggi parla della Roma in qualunque sede come fosse un tifoso qualsiasi, commentando anche post di persone comuni. E ancora: Simone Perrotta, “Pluto” Aldair, Rodrigo Taddei, Aldo Maldera, Abel Balbo. Se ne potrebbero citare molti altri. Ad esempio, Carlo Ancelotti, che “sarò sempre romanista”, anche se ha vinto tutto a Milano. La Roma è magica, scrivevamo sui banchi di scuola. Anche per questa ragione qui.
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