Da dove vogliamo partire?
“È bello ricordare tutto quello che è successo stasera. Era la mia prima notte europea qui a Roma, sotto questa veste. Ed è stato molto bello che sia finita così. Penso che sia stata una vittoria meritata, soprattutto per quello che avevamo fatto nel primo tempo, quando li avevamo messi veramente in difficoltà.
Forse, è il modo più bello di vincere, molto romanista, molto al cardiopalma. Però, ci siamo scrollati di dosso un po’ di fatalismo: sai, noi abbiamo questi modi di dire, come il ‘mai ‘na gioia’.
Iniziamo a cambiare pagina anche sotto questo punto di vista: non siamo i brutti anatroccoli, spesso vinciamo pure noi. Siamo una bella squadra, sono contento. È un grande stadio”.
A 18 anni, Svilar aveva già parato un rigore in Champions League, registrando un record di precocità: ha dimostrato davvero nervi saldi.
“È precoce ma è forte, perché di testa è un ragazzo sereno. Lo era prima, che giocava di meno. È supportato da una squadra che ha grande fiducia in lui, è supportato da Rui Patricio, che è un uomo meraviglioso: lo voglio sottolineare.
Quando poi tutte le cose le fai bene, capita che il rigore lo tirino dalla parte tua. Non è solo fortuna, perché c’è uno studio dietro, perché ci abbiamo lavorato. Ma poi ci sono l’elasticità sua, il momento, i nervi. È stato veramente bravo”.
E Pellegrini?
“È giusto che si tolga queste soddisfazioni, è giusto che ci sia il suo nome su questa serata bella, perché viviamo per queste serate. Negli spogliatoi, già gli ho detto che dobbiamo giocare gli ottavi di finale, ed è un po’ prestino per andare a fare troppi festeggiamenti.
Ma è bello che ci sia il suo nome, per come si comporta, per come lo conosco io, per il giocatore che è. Anche perché magari in tempi nemmeno troppo lontani ha vissuto dei momenti nei quali veniva messo in discussione, sotto un po’ di punti di vista. E mi dispiace tanto, perché è un esempio ed è un grande giocatore”.
Che sapore diverso ha avuto questa tua corsa sotto la Sud? Ci sei andato tantissime volte da calciatore. Quello di stasera era un abbraccio differente?
“Non era un abbraccio ma un ringraziamento allo Stadio. Mi trovo a dover ringraziare: il mio ruolo lo richiede. Mi vergogno pure ad andare sotto la Sud: da giocatore era più automatico.
Non vorrei esagerare, anche perché sono i sedicesimi di finale, però questa gente andava ringraziata. Praticamente, quando siamo arrivati ci hanno tirato sul il pullman: non toccava più per terra.
C’è stato un supporto, un apporto, un affetto, un amore gigante. È così da sempre. Cerco di essere più il freddo e moderato possibile, ma non devono pensare che io sia cambiato più di tanto. Mi trattengo dal non saltare sul cancello come facevo a 25 anni, anche perché non ce la farei (il mister sorride, ndr)”.
A che punto siamo con il lavoro? Sei contento?
“Sono stracontento per quello che vedo, calcolando che è poco tempo che lavoriamo. Ci sono tante cose da fare, ancora: le squadra si perfezionano anche dopo tanti anni che ci lavori. Magari, dopo tanti anni devi lavorare di più sull’aspetto mentale, devi stimolare i giocatori che sentono sempre la stessa voce per due, tre anni, che ripete loro sempre gli stessi concetti.
Adesso, dobbiamo lavorare invece proprio sui concetti, sul non fare danni, sul non stravolgere troppo: sono i concetti che anche oggi ci hanno portato a fare un primo tempo nel quale meritavamo di stare ampiamente in vantaggio”.
La Roma non vinceva una gara ai rigori all’Olimpico dal 2002 in Coppa Italia contro la Triestina: si ricorda chi calciò il primo rigore di quella serie?
“Non mi ricordavo che fosse stato il primo. Quella partita nella mia testa era più importante di questa, perché era una delle prime partite e una delle prime volte nelle quali decidere se alzare la mano e tirare fuori gli attributi o se guardare gli altri che battevano il rigore.
È stata la prima conferma che ho dato a me stesso, al di là del fatto che lo abbia segnato. Quel Roma-Triestina fu la mia finale di Champions, perché la mia dimensione era diversa: ero un ragazzo della Primavera. È stata una bella serata anche quella…Questa però forse è stata un po’ meglio.
Parlando dei rigori, l’aspetto che mi piace sottolineare è che avevamo sei rigoristi pronti a batterli e questo non è da tutte le squadre.
Ho fatto parte di grandi squadre, ma ho trovato anche dei giocatori che, per un motivo o per l’altro, non se la sentivano. Invece, oggi abbiamo dovuto lasciare fuori Angelino, che voleva batterlo e abbiamo fatti tirare questi cinque che erano carichissimi. Questi sono dei segnali, no? Si racconta sempre di Buffon che avrebbe voluto batterlo in finale a Berlino (finale dei Mondiali nel 2006, ndr). Quando c’è tutta la squadra che spinge per batterli, è un buon segnale”.
Avete giocato meravigliosamente nel primo tempo: perché la Roma non dura 90 minuti? C’è bisogno di acquisire dei concetti o c’è una questione fisica?
“Ogni partita ha la sua spiegazione, ma è vero che non teniamo 90 minuti ai ritmi del primo tempo. Non è neanche facile, ci sono gli avversari. Non dimentichiamo che abbiamo giocato contro una squadra costruita per fare la Champions, che ha ottimi giocatori. Quindi, ci può stare che ogni tanto prendano il pallino.
Ma oggi siamo stati bravi, perché anche a livello fisico abbiamo speso tanto: queste pressioni alte che abbiamo provato hanno portato magari i ragazzi a essere un po’ stanchi nella seconda parte. Ci può stare. Immagina che poi al 120’ la cosa si moltiplica.
Ma sì, ci dobbiamo lavorare, dobbiamo capire il motivo preciso per cui non riusciamo a resistere, o meglio a tenere il campo. Anche di testa, anche quando le gambe non vanno più, dobbiamo riuscire a tenere il campo in maniera migliore.
L’unica cosa che dico è che al 120’ ho visto uno scatto da parte di tutti, con Romelu che si è portato la palla sul destro e avrebbe fatto gol, se non fosse stato per il miracolo del portiere. Quindi, un pochino di benzina e soprattutto tanta voglia ce l’avevano ancora”.
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