Questo è stato un grande mercato per la Roma. Consegnate alla Roma un instant team fatto di giocatori con tanta esperienza di livello e quindi le chiedo se sia il momento di prendersi la responsabilità di dire che questa squadra ha il dovere di lottare per lo Scudetto.
“Innanzitutto, come ho fatto in passato voglio ringraziare tutte le persone del Club che hanno lavorato con me. Da fuori fare il mercato sembra una cosa un po’ divertente, ma per noi sono tre mesi veramente pesanti. Voglio ringraziare tutte le persone che mi hanno aiutato, anche i ragazzi dell’Ufficio Stampa, che hanno un lavoro difficile. Li ringrazio per lo sforzo.
Io penso che la squadra sia migliore. Ho detto dal primo giorno che il mio obiettivo di mercato era migliorare la squadra. E oggi la squadra è più forte, ha più soluzioni, più qualità.
Non sono d’accordo con te sull’espressione di instant team, ma ti devo riconoscere la coerenza: ne hai sempre parlato. Ma secondo me non è vero, la Roma è la quarta squadra più giovane della Serie A, cosa che non era quando sono arrivato, due anni fa. È la squadra più giovane delle sette big e all’interno della nostra strategia sportiva l’obiettivo è stato sempre quello di trovare spazio per i giovani come Zalewski, Felix, Bove, Darboe, e in questa stagione altri come Faticanti, Volpato, Missori, Keramitsis…
Ma, come abbiamo detto dal primo giorno, abbiamo bisogno di equilibrio: non possiamo portare solo scommesse come abbiamo fatto magari con Tammy, e in questa stagione con Svilar e Celik. Abbiamo bisogno anche di giocatori esperti, come Paulo, Belotti o Wijnaldum.
Detto questo, penso che alla fine di questo mercato la squadra sia più forte. Ma sempre con quello che, secondo me, è il nostro valore più grande: l’allenatore, la sua leadership. L’anno scorso, il Mister ha fatto diventare grandi calciatori dei buoni calciatori, ha fatto un processo di crescita importante con i giovani. È chiaro che in questa stagione abbiamo portato giocatori ancora più bravi e ci aspettiamo tutti di fare un po’ meglio della stagione scorsa, ma mai parlare di Scudetto. Non ci vogliamo nascondere - non è questo – ma, come ho sempre detto, faccio fatica a pensare a maggio adesso, a settembre.
Magari per qualcuno di voi il mercato condiziona l’80% di quello che è il successo sportivo, ma per me non è così: il lavoro quotidiano è molto importante e, secondo me, il nostro focus deve essere quello, come ha detto molto bene Belotti, di credere di poter vincere tutte le partite, cominciando con l’Udinese”.
Quanto è stato vicino Zaniolo ad andare via? E come gestirete adesso la trattativa per il rinnovo del contratto?
“Non è mai stato vicino alla partenza. La precedente era stagione di ripartenza per Nicolò, di ripresa, dopo due molto difficili per gli infortuni. In questa stagione sta ancora meglio. Non è mai stato un problema, è un ragazzo giovane, sta bene, è felice, ha aiutato molto la squadra.
Adesso la cosa principale è recuperare dall'infortunio. Io sono giovane, ma ho un po’ di esperienza, e mezz’ora fa ho chiamato Vigorelli (agente anche di Zaniolo, ndr) per dirgli avremmo dovuto cominciare a fare il calendario dei nostri meeting, perché sennò, dopo, alimentiamo tante pagine dei giornali su Zaniolo. Questa non è preoccupazione”.
Siete preoccupati per il Fair Play Finanziario, per le sanzioni dell’UEFA? E soprattutto, temete che la UEFA possa fare due pesi e due misure a seconda del club?
"Sul Financial Fair Play, il Club avrà il tempo giusto per parlarne, no? È un tema troppo serio. Anche noi addetti ai lavori spesso parliamo di questo tema senza la profondità di cui ha bisogno. Il Financial Fair Play è stato creato per aiutare i club, non per danneggiarli. Al di là del Financial Fair Play, quello che ho in testa io è il progetto Friedkin. Questo per me più importante.
E in questo progetto, la sostenibilità finanziaria è molto importante. È su questa strada che siamo andati. Tante volte non possiamo legare i milioni alla qualità. Nel senso che abbiamo speso dei soldi per prendere Dybala, ma la qualità c’è. In tutte le finestre di mercato, come ho detto sempre, noi dobbiamo cercare di migliorare la squadra.
Ma sappiamo che la Roma, quando l’hanno presa i Friedkin, aveva un’eredità pesante. Noi abbiamo un percorso da fare per creare sostenibilità. Per me, i paletti del Financial Fair Play non sono un problema. Dal primo giorno sapevo che le cose stavano così, è la nostra realtà.
Quello che io voglio sempre fare è far diventare la squadra più forte, cercare di creare una politica di meritocrazia dentro la squadra e gettare le basi per creare uno spazio del settore giovanile dentro la Prima Squadra.
Ovviamente, spero che nei prossimi anni queste limitazioni del Financial Fair Play possano sparire. Significherebbe che ho fatto bene il mio lavoro. La verità - questo è il mio obiettivo - è che il prossimo direttore sportivo avrà una vita molto più semplice della mia”.
Quindi non temete sanzioni dalla UEFA.
“A suo tempo ne parleremo”.
Il lavoro che avete fatto basta per il primo paletto del Financial Fair Play? Perché la UEFA vuole che la squadra costi il 90% dei ricavi.
“Guarda, io non voglio farla diventare una conferenza sul Financial Fair Play, perché, come ho detto prima, è un tema sensibile e profondo. Penso che avremo tempo di parlarne. Voglio dire, ancora una volta, che il Financial Fair Play non è una scusa: per me, è una cosa che dobbiamo fare, è un obiettivo che abbiamo.
Ovviamente, per come abbiamo condotto il mercato, siamo più vicini agli obiettivi. Ma non è finita. Perché quando le società firmano i settlement agreement, stiamo parlando di contratti di tre, quattro anni: è un processo lungo.
Ma penso che, come noi abbiamo dimostrato questa estate, questo non ha limitato la nostra capacità di far diventare la squadra più forte. Dobbiamo essere bravi, dobbiamo trovare le soluzioni giuste con questi paletti, con queste limitazioni della UEFA e dobbiamo cercare di fare le cose nel modo migliore possibile.
Non è molto normale che negli ultimi dieci anni la Roma sia riuscita più a vendere che a comprare. Se noi ora l’abbiamo fatto, vuol dire che siamo più vicini. Ho anche sentito dire che la Roma è andata oltre il monte ingaggi: non è vero, dal mio arrivo lo abbiamo ridotto di più di 20 milioni.
Questo significa che abbiamo una strada da seguire, ma io non verrò mai qua per dire che non abbiamo fatto meglio perché avevamo queste condizioni. Perché io lo so dal primo giorno.
Secondo me, fare oggi il direttore sportivo è molto diverso rispetto a dieci anni fa. Perché oggi noi siamo costretti a capire una realtà economica e legale – Financial Fair Play, UEFA, contratti… – che è totalmente diversa, e di questo non mi posso lamentare: è la mia realtà. Sono contento. Penso che abbiamo fatto un lavoro interessante per raggiungere la sostenibilità della società. E nel giorno in cui andrò via, sono sicuro che la Roma avrà una situazione più solida e più sostenibile di quella che ho trovato”.
Non è facile far venire calciatori a parametro zero, dopo anni di buio: è merito suo, di Mourinho o dei Friedkin, che hanno prospettato un progetto importante?
“Secondo me, è essenzialmente merito della Proprietà e di Mourinho. Della Proprietà, perché in questi due anni ha fatto capire che sta costruendo un progetto diverso. È una Proprietà che non parla molto, ma che fa vedere di avere le idee giuste per il Club. Non solo nel calcio, ma anche ma in tutto quello che circonda il Club. Oggi penso che la Roma abbia più appeal.
Poi, non c’è dubbio che il ruolo di Mourinho nella capacità che noi abbiamo di attrarre i giocatori sia totalmente diverso da quello di un altro allenatore. Sarebbe stupido da parte mia non sfruttarlo. Lui non ha neanche il problema generazionale, perché ci sono magari allenatori della sua età che ai giovani non dicono molto. Io ho invece ragazzi di 20, 21 anni, che hanno il sogno di essere allenati da Mourinho.
Secondo me, è un lavoro che viene fatto tutti insieme. Ma al momento della scelta, non alcun dubbio sul fatto che Dybala, Matic, Wijnaldum, Camata, Celik, Svilar e Belotti abbiano ritenuto importante il fatto di poter essere allenati da Mourinho. È chiaro che durante tutte le trattative Mourinho fosse al corrente di tutto, perché è anche il mio modo di lavorare. E rispondendo oggettivamente alla tua domanda, è essenzialmente merito della Proprietà e merito suo”.
E suo che ha condotto le trattative.
“È il mio lavoro”.
Lei è stato impegnato dagli arrivi ma anche delle cessioni: quale dei due aspetti è stato più difficile? E poi: che voto si dà per il mercato?
“Lei ha detto una cosa giusta. È chiaro che le persone si entusiasmano di più per i calciatori che arrivano, ma il nostro lavoro è più concentrato su quelli che partono. Penso che ieri, mangiando la pizza, abbiamo fatto 57 operazioni, no? Questo vuol dire che si lavora tanto sulle uscite.
Devo dire che – non mi nascondo mai – non sono totalmente soddisfatto di quello che ho fatto in uscita, perché ci sono un paio di giocatori andati via in prestito per i quale c’erano, credo, le condizioni per la vendita.
Quanto al voto, sono giovane ma imparo: la stagione scorso ho fatto un errore, sono stato naif nel darmi il voto e poi, qualcuno di noi, quando i risultati non venivano, mi ha un po’ preso in giro. E magari dopo Tirana quel voto ci stava. Ma in questa stagione non lo farò. Non lavoro molto sul mio protagonismo individuale, ma per le idee, per il mio rapporto con le persone. E ti dirò che non hi bisogno di quelle ‘marchette’ per avere un grande voto. Il calcio cambia tutti i giorni, oggi siamo fenomenali e domani siamo scarsi.
Io faccio anche la mia valutazione. Ci sono stati dei momenti, questa estate, in cui voi pensavate che io avessi fatto un capolavoro e io ero invece insoddisfatto, perché pensavo di poter fare meglio. E ci sono stati dei momenti in cui voi avete pensato che io avessi sbagliato, e invece avevo fatto bene”.
Forse, manca ancora un tassello in difesa? E poi volevo capire come ha vissuto le pressioni che anche Mourinho metteva, con le foto, con le battute.
“Anzitutto, sulla pressione, io sono giovane ma ho vissuto tante cose. Ho solo tre persone nella mia vita che mi mettono pressione: mia mamma, mio padre e mia sorella. Loro sì che mi mettono tanta pressione.
Quando stavo per venire in conferenza stampa, Luca (Pietrafesa, Head of Media del Club, ndr) mi ha detto: ’Hai sempre due telefoni, perché non porti l’altro?’. Gli ho risposto che l’altro è della famiglia, e se qualcuno mi scrive qualcosa, è meglio non portarlo.
Scherzi a parte, anche se qualcuno - magari legittimamente - vuole dire il contrario, io ho un grande rapporto con Mourinho. Quello che noi viviamo qui a Trigoria è un ambiente di famiglia. Quello di cui dobbiamo discutere lo discutiamo in famiglia.
A me non spetta commentare le parole del Mister, perché il lavoro di un allenatore è anche molto difficile: significa essere esposti 150 volte all'anno alla stampa. E ogni tanto, è difficile fare quel mestiere lì.
La strategia era definita, noi cerchiamo di essere sempre allineati anche con la Proprietà. Abbiamo cercato di fare le cose insieme, come ho detto quando mi hanno fatto la domanda sulla trattativa. Tante volte ho avuto bisogno dell’aiuto suo per portare avanti le cose e le cose sono andate bene.
Io non funziono molto con la pressione, devo dire la verità. Le persone che mi conoscono sanno perfettamente che l'unico modo di portare avanti le cose con me è la positività, sono le motivazioni, il coinvolgimento.
La pressione non funziona con me. E non prendetelo per arroganza, ma credetemi, io non leggo la stampa. Non mi crea pressione.
È chiaro che vado al ristorante e tutti mi chiedono se prendo Belotti o prendo Dybala, e questo mi fa pressione, ma è perché non posso mangiare.
Sul tema della difesa, ancora una volta non voglio nascondere nulla. Penso che sia ovvio, è matematica: se giochiamo a tre, è normale che magari potevamo avere un difensore centrale in più. Alla fine, non ci siamo riusciti per tante cose che sono successe.
Penso che dentro la squadra avremo delle soluzioni che magari non saranno quelle ideali, ma ci sta: abbiamo giocatori con qualità, che sanno ricoprire più ruolo.
Come ho detto prima, voi parlate molto di Mourinho, della sua leadership, della sua comunicazione, e io parlo del Mourinho che conosco, in campo come allenatore. La stagione scorsa, a Roma, ha fatto vedere con Felix, con Zalewski e anche con altri che, nel momento dell’urgenza, della difficoltà, ha trovato delle soluzioni.
Abbiamo giocatori in rosa come Matias (Vina, ndr), come Rick (Karsdorp, ndr), e principalmente come Cristante che possono giocare in quel ruolo lì. Non è la soluzione ideale, lo so, ma noi non possiamo andare su questa strada del fare un piccolo sforzo e portiamo Dybala, facciamo un piccolo sforzo e portiamo Wijnaldum. Poi Wijnaldum si fa male e facciamo un piccolo sforzo e portiamo Camara, un piccolo sforzo e portiamo Belotti, un piccolo sforzo e portiamo un quinto centrale. Non è così. Le cose sono molto complesse, un po’ più di quello che sembrano. La pressione è questa”.
A giugno il mercato della Roma sembrava un po’ fermo, era arrivato solo Matic e sembrava che la strategia fosse quella di prendere Frattesi, con il pagamento del cartellino. Poi c’è stato un cambio di strategia. A un certo punto, si è arrivato a spendere poco per i cartellini, soltanto Celik e a prendere giocatori a parametro zero. Perché è successo?
“È una domanda molto intelligente, perché è veramente quello che è successo. Abbiamo una strategia sportiva e una finanziaria. Il principale obiettivo è capire di cosa ha bisogno la squadra per migliorare. E dopo dobbiamo avere una strategia finanziaria che ci permetta di arrivarci. E con tutti i condizionamenti del Financial Fair Play e tutto il resto, le cose vanno insieme: quelle che entrano e quelle che escono.
Il mercato ha tre mesi, noi dobbiamo avere pazienza. Ho capito subito che avrei avuto tanta difficoltà nel centrare obiettivi finanziari nelle uscite per portare avanti una strategia nelle entrate. In quel momento, ho capito che magari avremmo avuto la capacità di far diventare la squadra più forte seguendo questa strategia di cui stai parlando, invece di aspettare a vendere per portare a casa i giocatori che volevamo.
E questo va misurato, sempre. Nel senso che tutte le situazioni sono state legate una all’altra: Wijnaldum arriva quando Jordan (Veretout, ndr) parte. Felix parte e poi arriva Belotti. Le cose sono molto complesse, ma lei ha fatto un’analisi corretta.
Nel momento in cui capito che avremmo incontrato delle difficoltà a vendere i giocatori che pensavo di poter vendere e non ci sono riuscito, non ho voluto compromettere la Società con dei problemi. Anche perché - e non sto criticando - quando si trovano delle soluzioni creative come i prestiti con obbligo, questo ci aiuta ma qualcuno lo paga in futuro. E noi siamo andati pure in un’altra strada. La strategia non è cambiata, ma quella finanziaria sì.
Sul tema Frattesi, dico chiaramente che è il mio giocatore preferito della Serie A, tranne quelli della Roma. Mi piace molto Davide, è un grande calciatore. Secondo me, sarà uno dei centrocampisti più forti, e non solo del campionato ma della Nazionale. Ma poi siamo nel mercato.
Io vado da un club, chiedo. E il club proprietario mi dice quello che vuole. Io devo rispettarlo. Ci sono due cose importanti. Una, io non uso la stampa per fare le trattative. È la prima volta che parlo di Frattesi, nessuno di voi mi ha sentito parlarne, perché queste cose vanno trattate con il club. Poi, ognuno fa la sua valutazione: il Sassuolo ne ha fatta una e noi non potevamo arrivarci. Tutto a posto, non c’è problema.
Quello che mi dispiace è che ci sono dei momenti in cui le trattative sembrano fatte da sole, perché se solo una parte parla, alla fine sembra che le cose stiano come dicono loro. La verità, ancora una volta, è che il Sassuolo è un grande progetto sportivo, le persone che guidano il Sassuolo sono molto competenti e David Frattesi è un grandissimo giocatore.
Non siamo riusciti a fare un accordo perché io sono un po’ tedesco nel modo di fare le trattative. Non mi piace spendere un mese per una trattativa di due o tre milioni di euro. Loro fanno le loro valutazioni. Io capisco se ho i soldi o no. Se non li ho, andiamo avanti. Non c’è problema”.
Nell’ottica di non spendere soldi per il cartellino, rientra nome di Solbakken?
“Avevo detto che c’erano due domande che era impossibile che non sarebbero state fatte: sui rinnovi e sui giocatori che avrei preso a gennaio. C'è una cosa che è molto importante chiarire: non è vero che la Roma ha aumentato il monte ingaggi.
Non è difficile capire che, se risolviamo il problema di Olsen e Fuzato e portiamo Svilar, la Roma non aumenta il monte ingaggi. Se la Roma risolve il problema di Florenzi, Santon e fa il prestito di Reynolds e prende Celik, non aumenta il monte ingaggi. Se vanno via Diawara e Villar e viene Matic, non aumenta il monte ingaggi. Se non rinnova Mkhitaryan, se Sergio Oliveira e va via Veretout, non aumenta il monte ingaggi con Dybala e con Wijnaldum.
Non voglio essere il mago della finanza, ma non è vero che abbiamo aumentato il monte ingaggi. Su Solbakken, è una sorpresa perché pensavo che avesse firmato per una squadra. Avevano detto che lui era qua e aveva fatto le visite mediche. Se mi dici che non ha firmato ancora, proviamo...”.
Prima ha fatto riferimento al prossimo direttore sportivo: ha intenzione di andarsene?
“No, no, io sono felice qua. Questa non l’avevamo preparata (ride, ndr). Per venire qua, ho lasciato il grande amore della mia vita. Non ho mai nascosto che è il Benfica. Perché ho grande sintonia con la Proprietà e oggi con l’allenatore: è questo quello che mi muove, non il protagonismo, non i soldi. Mi muovono le idee e le persone con le quali lavoro.
Quando oggi ho detto che il prossimo direttore sportivo della Roma avrà un lavoro più semplice, è perché il lavoro che la Proprietà e tutti noi stiamo facendo permetterà alla Roma di avere più flessibilità e più sostenibilità in futuro.
Ma io non ho bisogno di rinnovare il contratto fino al 2024. In questo sono diverso dai calciatori, non chiedo il rinnovo. Lascio stare così. Sul mio futuro non ha dubbi nessuno. È chiaro che tutti fanno le proprie valutazioni personali, e io faccio le mie. Ma sono felice, a questa domanda sono impreparato”.
Qual è stato l'acquisto che l’ha soddisfatta di più? E quale il rimpianto maggiore?
"Il mio rimpianto è legato alle cessioni. Io cerco di essere una persona molto metodica, prepariamo le cose bene ma alla fine lo sport è l'unica attività commerciale del mondo dove coloro che davvero comandano sono gli operai, e quindi i giocatori.
Alla fine, tu puoi avere una strategia fantastica per vendere un giocatore, ma se uno non vuole andare lì, tu non puoi fare nulla. Su questo ho un po’ un rimpianto, perché avevamo almeno due o tre situazioni. E lascia perdere quella di Justin (Kluivert, ndr), perché non è colpa di nessuno. È successo quello che è successo. Magari era un’opportunità.
Il mio rimpianto è di più per le uscite che nelle entrate. Per quanto riguarda l’acquisto che mi è piaciuto, mi sono piaciuti tutti: ogni trattativa ha una storia. Tante volte, è una storia dove noi andiamo oltre dal punto di vista emozionale. Io sono un direttore sportivo, ma alla fine sono un essere umano.
Quando mi devo chiudere tre o quattro giorni in una camera di albergo a Torino per portare Paulo, non è una cosa semplice. Ma è difficile per me dire quale sia stata la trattativa che è piaciuta di più, perché veramente ho sentito che tutti i calciatori hanno perso dei soldi per venire alla Roma. Tutti. E questo significa qualcosa.
Per questo ho detto quella cosa della Proprietà e di Mourinho, perché fa fuori hanno capito che qua sta nascendo qualcosa. E la Proprietà e Mourinho sono i principali artefici di questo progetto. Per questo, non è giusto dire quale trattativa sia stata più importante: hanno tutte una storia particolare”.
Ci sono dei giocatori senza contratto come Zagadou. Lei poi ha parlato di 57 operazioni, forse sono mancate quelle di Coric e Bianda? Cos’è successo?
“Calma, ché io non mollo mai (Tiago Pinto ride, ndr). Abbiamo ancora Belgio, Turchia, Grecia… I ragazzi mi devono spingere un po’ di più, perché dobbiamo sistemare queste due situazioni. Bianda e Coric sono due ragazzi un po’ vittime di un contesto del passato. Non abbiamo trovato delle soluzioni fino ad adesso, ma ho ancora la speranza di trovarle in questo mercato.
Su Zagadou, possiamo parlare di lui o di Denayer: ci sono tanti giocatori in scadenza. Penso che questo mercato farà un po’ storia su questa strategia che hanno i ragazzi di portare il contratto a scadenza. Di questo ne riparleremo in futuro".
Tornando al contratto di Belotti, ha firmato per un anno con opzione per gli altri due. C’è un motivo particolare?
“La verità è che siamo stato veramente creativi in due, tre operazioni. Una creatività dettata dalla necessità. La cosa più importante è che tutti i calciatori hanno accettato e, se lo hanno fatto, è perché si sentono comodi e felici.
Non è importante se uno più due, o due più uno, o uno più tre, perché ci sono delle cose dentro un contratto che voi sembrano un male, ma al giocatore no. Sono dettagli delle trattative che non compete a me divulgare. Ma la verità è che sono sicuro che Andrea sia felice qua e che giocherà molti anni a Roma. Anche lui ha fatto uno sforzo per venire alla Roma. Ora il mio compito è renderlo felice. E il contratto non sarà mai un problema”.
Sui rinnovi di Cristante e Spinazzola, c’è già una trattativa in corso?
“Se non ricordo male l'anno scorso, una delle domande era se, con l’arrivo di Tammy, avremo avuto dei problemi a fare sei rinnovi: Veretout, Cristante, Zaniolo, Spinazzola… È passato un anno e continuiamo a parlarne. È normale, che quando cominciamo ad arrivare al termine dei contratti, di questo si deve discutere. Ma sarà discusso al tempo giusto.
Su Bryan, sa perfettamente quello che io e la Società pensiamo di lui. Resterà a Roma tanti anni, perché, al di là essere un grande giocatore, è un grande professionista e ha la mentalità giusta per continuare qua. Da parte mia, farò tutto il possibile perché lui rimanga qui. Ma adesso fatemi riposare un po', perché è stato veramente pesante. Perché tu lanci questa idea, e poi vengono i procuratori e io non posso riposarmi un po’”.