Che effetto ti fa tutto questo affetto da parte del pubblico?
“L’affetto dei tifosi mi fa molto piacere, perché penso che si sia capito il mio entusiasmo, la mia voglia di venire qui a Roma. Nonostante abbia giocato ancora poco, sto cercando di dare il mio contributo anche per quei piccoli spezzoni di partita o nelle gare da titolare.
Però, allo stesso tempo, io penso tanto al collettivo e cerco di dare il mio contributo anche quando non gioco, perché so che in una squadra, con tante partite, tanti ragazzi, c’è bisogno di una parola, di un conforto, di un aiuto, di una strillata. Quindi, cerco di essere il più utile possibile in base alla situazione in cui mi trovo”.
C’è la possibilità di vederti insieme ad Abraham? Avete provato qualcosa?
“Noi ci alleniamo sempre in funzione delle esigenze che ci presenta il mister. È lui che prepara tutte le partite, che prepara qualsiasi cosa, focalizzato sempre sulla gara successiva. Noi dobbiamo solo farci trovare pronti.
C’è stato solo un piccolo spezzone di partita in cui abbiamo giocato insieme, con l’Helsinki. Se poi il mister prenderà questa decisione, noi sappiamo cosa dobbiamo fare. Perché è qualcosa su cui lavoriamo anche in allenamento ed è una situazione in più. Ma ripeto, sono scelte che competono al mister e noi, sia che si giochi con una punta sia che si giochi con due, dobbiamo farci trovare pronti”.
Se doveste giocare insieme, come pensate di integrarvi in ragione delle vostre caratteristiche?
“Questa è una domanda da fare al mister, non a me. Io e Tammy abbiamo caratteristiche diverse e giochiamo in modo diverso. Ma quando si affrontano determinate squadre, si pensa a un certo modo di giocare rispetto che a un altro. Quindi, è più un discorso tecnico e la risposta te la può dare solo il mister, in questo momento qua".
Come vedi la concorrenza con Tammy?
"Molto bene. So che Tammy è un grandissimo attaccante, gioca nella nazionale inglese, è stato convocato anche la settimana scorsa. E come ho sempre detto, è un’opportunità di confrontarmi. Lo vedo come uno stimolo personale, perché so che, per poter giocare, devo dimostrarlo sempre in ogni allenamento, in ogni partita.
E sapendo quindi che c’è un attaccante forte, io devo sempre fare di più. Questo mi dà carica, mi dà voglia, perché quando arrivi a un determinato livello, a un livello alto, sono più le cose importanti quelle che devi fare”.
Vedremo un altro Belotti, dopo le due settimane in cui hai lavorato da solo? Ti serviva questa fase di allenamento?
“Mi è servita tanto per allenarmi. Mi sono fermato qualche giorno in più perché ho pensato che fosse qualcosa che potesse fare del bene a me stesso, al mio corpo. Visto che avevo iniziato più tardi rispetto ai miei compagni, sapevo che ci sarebbe voluto qualche tempo per riprendere la condizione migliore.
Fin dal primo giorno, quando c’è stata la possibilità di dare qualcosa in più in allenamento, io l’ho fatto. Come l’ho fatto durante la sosta per le nazionali. Quindi sì, ora mi sento bene. Ma il giudizio lo dà sempre il campo, le parole se le porta via il vento. Quando in campo fai la prestazione, significa che è tutto a posto”.
Cosa significa essere allenati da Mourinho?
“Per me, è un onore. Mourinho non lo conosciamo adesso, per lui parlano la sua storia, i suoi titoli. Ma la cosa che fa più impressione è che ogni giorno pare che abbia una mentalità vincente più grande rispetto al giorno prima. Credo che questo sia uno dei suoi grandi punti di forza, ed è per questo ha allenato grandissime squadre e grandi giocatori.
Ritrovarmi qui con lui che ha allenato grandi giocatori può essere solo un aiuto, perché mi può dare dei consigli per migliorare, facendo un paragone con tutti i grandi attaccanti che ha avuto. E se c’è una cosa più utile per me, è giusto che io la faccia”.
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