Ecco le parole del tecnico portoghese.
Ha già vissuto 119 derby, in 4 nazioni differenti. Questo come se lo immagina? E che atteggiamento vorrà dalla sua squadra?
“I numeri solo voi li sapete perché io non li so. Come ho detto anche prima, le 1000 panchine non le sapevo finché la stampa non ne ha iniziato a parlare. I derby ora mi dite che sono 119. Sono tutte partite belle da giocare. Partite che non preoccupano un allenatore. Non preoccupano perché non bisogna motivare. Non bisogna stare attenti alla concentrazione dei giocatori. Sono partite che sono belle da giocare, ma che sono belle anche da preparare. Non esistono questo tipo di problemi”.
“Magari contro l’Udinese un po’ di preoccupazione ci poteva stare a pensare se la gente pensava più all’Udinese o al derby. Quando tu giochi il derby, non esiste perché la gente sta cento per cento nella partita. In questo senso è bello da giocare e da preparare. Dalla mia squadra mi aspetto quello che dico dal primo giorno. Giochiamo per vincere. Sappiamo che non possiamo vincere sempre. Dall’altra parte c’è una squadra che vuole vincere come noi. Però l’atteggiamento che voglio è lo stesso di sempre. Vogliamo vincere. E quando non vinciamo, voglio uscire dal campo con la sensazione che i ragazzi hanno dato tutto. È questo che mi aspetto”.
La Roma attuale probabilmente è la squadra meno talentuosa che lei ha allenato. Questa è una delle sfide più importanti della sua carriera?
“Una sfida diversa. Una sfida senza dubbi. Dal primo momento che ho parlato con la proprietà e con il direttore, non c’è mai stato un dubbio. Sappiamo dove siam, cosa vogliamo fare e dove vogliamo andare. Io ho allenato in passato squadre con qualche dubbio. Qui non esistono dubbi. E quando non esistono dubbi, non è la sfida più difficile”.
Zeman diceva che il derby è una partita come le altre. Garcia, invece, dichiarava che il derby non si gioca, ma si vince. Lei dove si colloca?
“No. Rispetto il signor Zeman, rispetto Rudi, però non vado a commentare le loro parole e a dire se mi identifico più con l’uno o con l’altro. Penso che è più importante parlare poco e giocare tanto. Puoi parlare tanto prima della partita, ma poi le parole se le porta via il vento. Perché parlare? È quello che l’esperienza mi dice. L’ora della verità è là, in campo. Non qui. Io sono qui è un obbligo per voi, è un rispetto per voi, per la gente che vi ascolta e vi legge. Ma le parole sono di circostanza. Il resto è domani. Là dentro. Dal primo minuto”.
Pellegrini non giocherà il derby. È un giocatore importante sia in fase realizzativa, sia in fase difensiva. C’è un giocatore nella sua squadra che può fare il doppio lavoro?
“Di Pellegrini ne ho uno. Non volevo parlare di questo. Per me non è facile parlare di Pellegrini in queste circostanze. Io potevo anche dire che questa partita di domani si è iniziata a giocare dal novantesimo di Roma-Udinese. Perché avere Pellegrini è una cosa, non averlo è un’altra cosa. Tu hai toccato diversi punti. È offensivo, difensivo, come pressa".
"Possiamo parlare di calcio, ma parlare anche da un punto di vista di leadership, di trascinare, di comunicazione, di fare molto bene il capitano. Ma non c’è Pellegrini. Credo che la tua domanda è anche per capire chi gioca, chi non gioca. Come cercheremo di trovare una soluzione. Ma non lo dico. Io non modo molto onesto non commento, non dirò come giocheremo e quale giocatore potrà giocare”.
Quale può essere l’apporto dei tifosi romanisti rispetto alle altre piazze in cui ha vissuto un derby?
“In questa settimana quello che mi ha colpito di più è il modo come la squadra è stata accanto alla squadra prima dell’Udinese e dopo la sconfitta con il Verona. Significa che c’è empatia. L’empatia dopo tre vittorie è un’empatia qualche volta artificiale. Un’empatia che qualche volta va via dopo un risultato negativo. Stavolta abbiamo perso, nemmeno abbiamo giocato bene, per strada, con il pullman verso lo stadio, nel punto difficile della partita, con uno di meno in campo, con il risultato in bilico, in quelle situazioni si sente l’empatia".
"Penso che i tifosi meritano tutto da noi. Ma anche i ragazzi meritano tutto da loro. In questo momento questo esiste. Loro stanno dando ai ragazzi quello che loro meritano. E i ragazzi stanno rispettando la passione che la gente ha, giocando in campo. I tifosi al cento per cento sentiranno che la squadra gioca per la nostra professionalità, ma anche per la loro passione”.
Lei nel 2010 vinse uno scudetto anche grazie a un Lazio-Inter in cui i tifosi biancocelesti chiesero ai giocatori di scansarsi. E da quell’episodio ha capito cosa è la rivalità tra Roma e Lazio?
“Sono qui da pochi mesi. Devo vivere di più, devo capire di più nel dettaglio. Una cosa è sentire, una cosa è essere dentro e capire tutto. La rivalità è una cosa bella. Al cento per cento. Se alleni il Real Madrid, e il Barcellona non è campione, sicuramente i tifosi del Barcellona vorranno l’Atletico Madrid o campione. Se sei in Portogallo e alleni il Porto, e il Benfica non può vincere il campionato, sicuramente il Benfica preferirà un altro vincitore al posto del Porto. Questa è la normalità della bella rivalità. Ed è per questo che dico mi piace giocare il derby”.
“Mi piace giocarne uno in più, che non ho mai giocato. E privilegio di essere più ricco dopo questa esperienza. Di capire cosa è davvero Roma-Lazio o Lazio-Roma. Però, al di là del derby e di cosa può significare, io vorrei che la squadra avesse più ambizione di vincere un derby. Non è l’unico obiettivo di una stagione. Di quella partita del 2010 mi ricordo che abbiamo vinto 2-0. Dalla parte dei tifosi laziali si sentiva che non erano in appoggio alla squadra. L’Inter ha vinto lì come in tante altre partite di quel campionato”.
Lei finora non ha litigato ancora con nessuno rispetto al passato. È cambiato il suo modo di comunicare?
“Dimmi un motivo per litigare con qualcuno. Dammi un motivo. Ancora non è arrivato. L’unica cosa che mi ha dato una sensazione molto negativo è stata l’espulsione di Pellegrini. Però è stata fatta. Che faccio? Vado a litigare con l’arbitro, poi l’arbitro manda via me e domani non poter andare in panchina nel derby”.
“Quando la situazione arriverà, in modo naturale, automatico, ma non devo essere io di cercare di litigare con la gente. Mi rispettano. Allenatori, giocatori, arbitri. Quello lì era un ragazzo giovane, ha sbagliato, vai, la prossima volta farà meglio. Avrà il suo allenatore Rocchi che con la sua esperienza lo può aiutare a migliorare. Non c’è motivo per litigare con nessuno”.
Cosa devono fare le seconde linee per guadagnarsi un posto?
“Non litigherò con te… Però, la domanda che tu mi fai potrebbe essere la stessa, al contrario, se io facessi giocare 20 giocatori, cambiandoli di continuo, la domanda sarebbe la stessa: “Perché lei non punta sulla stabilità?”. C’è sempre questo. Quando la gente va nella direzione di stabilità, a inizio stagione, non ancora stanchezza, non ancora limiti fisici, poi arriverà il momento di fare il turnover. La mia è una scelta ovvia. Sono arrivato, giochiamo diverso da prima".
"Abbiamo bisogno di stabilità, di fiducia. Tanta gente della gente che non sta giocando è gente molto giovane, non è gente preparatissima per entrare subito diretta nella squadra, che anche loro hanno bisogno di più tempo e stabilità. Mi sembra un processo assolutamente normale”.
Sia la Roma, sia la Lazio scendono in campo con formazioni piuttosto offensive. Domani sarà più importante avere coraggio in fase offensiva o attenzione in fase difensiva?
“La globalità della partita. Con palla vogliamo giocare, aggredire, segnare se possiamo. Senza palla si deve rispettare. Una squadra con qualità, con un modo offensivo di pensare al gioco. Bisogna difendere. Molto difficile vincere una partita se fai bene una fase di gioco e male l’altra fase. Per vincere abbiamo bisogno di una partita molto completa. Affrontiamo un avversario di qualità”.
La Lazio difende pressando alto, in maniera collettiva. Ma è capitato con l’Empoli, con il Milan che questa pressione venisse saltata per trovare campo e andare a fare gol. Quanto sarà importante domani giocare sotto pressione? E se sta pensando a una strategia in questo senso.
“È una buona domanda, ma è il tipo di domanda a cui non mi piace rispondere. Perché rispondere è toccare i punti di chiave. Tu hai analizzato il modo di giocare del nostro avversario. Io non vado di là del più basico concetto, con palla vogliamo segnare, senza squadra vogliamo difendere”.
A margine della conferenza, il mister ha poi aggiunto: “Questo è un momento difficile per la famiglia Zalewski. Non solo per Nico, ma per tutta la famiglia. Vediamo domani. Sarà decisione sua se giocherà o no. Dovrà essere lui a decidere. Si appresta a convivere in un mondo nuovo per lui, senza il suo papà. Io lo voglio per domani, non posso nasconderlo. Però vediamo quello che dice lui. E come voi avete la dimenticato la domanda chiave: “Vina sì, Vina no, io penso Vina sì”.