Nel giorno in cui Agostino Di Bartolomei avrebbe compiuto 66 anni, abbiamo chiesto al suo compagno di squadra Ubaldo Righetti di scriverne un ricordo.
Ecco le sue parole.
“Ciao Ago, capitano, e buon compleanno prima di tutto.
Ti scrivo queste righe perché volevo dirti ancora una volta grazie. Te l’ho già detto in passato, in più di un’occasione, ma te lo volevo ribadire ancora, nel giorno in cui avresti compiuto 66 anni. Vale oggi, ma vale per sempre.
Grazie perché sei stato nella Roma il mio primo punto di riferimento. Quando io entrai a far parte della squadra, tu fosti la prima persona che mi prese sotto braccio e mi parlò. Lo ricordo come se fosse ieri. Eravamo al Tre Fontane, in una delle tante settimane di allenamento. All’epoca il campo era frequentato spesso dai tifosi, che venivano lì in massa, dato che i cancelli erano aperti al pubblico. Avvertivi già da quei momenti la pressione, la voglia di vincere di quella gente. Io non avevo ancora compiuto 18 anni.
Mi prendesti da parte e mi dicesti: “Guarda questo fantastico pubblico, Ubaldo. Dobbiamo sempre rispettare e onorare la maglia che portiamo. Bisogna giocare per loro”. Ecco, feci tesoro di queste parole straordinarie e me le portai sempre dietro.
Le parole, a proposito. Da fuori ti vedevano come uno taciturno, che rideva poco, in realtà io ti ho sempre conosciuto come un uomo espansivo, a cui piaceva giocare e scherzare di continuo. Quando si poteva fare, ovvio. Poi se c’era da lavorare e mantenere la serietà, eri il primo a dare l’esempio. Da capitano.
Ricordo anche un particolare di te. Quando abbracciavi forte qualcuno, in quel frangente dimostravi il tuo affetto. C’è un fotogramma di te e Bruno Conti nel sottopassaggio nel giorno del suo addio al calcio, nel 1991. Ci sono ancora le immagini oggi di quel momento da qualche parte. Era il tuo modo di dimostrare l’amore che provavi verso un amico o un compagno di squadra.
Difficile pensare o immaginare cosa saresti stato oggi. Eri un uomo con tanti interessi, amavi l’arte e la cultura. Ti trovavo affascinante, carismatico. Probabilmente, dal mio punto di vista, ti avrei visto più come dirigente importante di una società che come allenatore. Quando giocavamo, e tu eri il nostro capitano, facevi da tramite con la società quando c’era da affrontare questioni sindacali. O ti mettevi dalla parte dei dirigenti quando il club ci chiedeva qualcosa. Sapevi quali tasti toccare, quali parole usare e come rapportanti con noi, conoscendo tutto ciò di cui avevamo bisogno.
Lavoravi sempre per la squadra, per la Roma, 24 ore al giorno. Non solo sul terreno di gioco, non solo negli allenamenti o nelle partite. Sempre. In ogni momento.
Ascoltavi tutti, ascoltavi sempre, ma quando c’era da dire qualcosa al gruppo, restavamo in religioso silenzio. Gli occhi e le attenzioni erano tutte su di te. Le tue parole avevano un peso specifico. Sapevi come indirizzare i giovani e i veterani. Quei concetti li portavamo appresso come un manifesto. E che spettacolo quando parlavate te e Falcao. Un insegnamento continuo.
Quando ci avvicinammo a quella finale del 30 maggio ne facemmo diversi di discorsi in quel ritiro in montagna, cercavi di normalizzare l’attesa dell’evento, di sdrammatizzare, ma poi un po’ di tensione inevitabilmente la avvertimmo tutti. Cosa che invece gli inglesi non provarono. Vennero a Roma a fare shopping, addirittura, prima della partita.
Ecco, in riferimento a quel 30 maggio e a quello di 10 anni dopo. Io e te facemmo gol in quella lotteria dei calci di rigore, ma non bastò per portarci a casa quel trofeo che avremmo meritato. Quelli restano gli ultimi ricordi nitidi che ho di quella serata. Del dopo gara, ancora oggi, non ricordo nulla. Zero. Il buio più totale. Io come altri amici che erano allo stadio. Fu un momento spartiacque per quella Roma, per tutti noi. Per te
Dieci anni dopo, poi, accadde quello che sappiamo. Quello che non sarebbe mai dovuto succedere. Non posso aggiungere altro, se non grazie.
Grazie, Agostino. E ancora auguri, mio capitano”.
Ubaldo Righetti
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