Presidente e fondatore del Roma Club Alitalia dal 1983 e di diverse altre associazioni di tifosi che hanno convogliato gente romanista in città, nel resto d’Italia e nel mondo. Ha organizzato decine di serate e di feste giallorosse. “La notte delle stelle” è una delle sue creature, appuntamento annuale che ha visto premiare i migliori giocatori e allenatori passati per la Capitale.
“La Roma è una delle componenti della mia vita e quanto m’è mancata in questi ultimi due mesi…”. Già, perché Giancarlo è uno degli italiani – tra i circa tre milioni e mezzi di contagiati da inizio pandemia – ad aver contratto il Covid. Ma l’ha superato, dopo due mesi di battaglie quotidiane. L’ha combattuto da solo perché il brutto della malattia è proprio questo. Ti prova fisicamente e ti isola dagli affetti. “Sono stato 60 giorni lontano dalla mia famiglia, da mia moglie, dai miei nipoti. Li ho riabbracciati solo pochi giorni fa. Ed è stato un momento tanto emozionante”. Ora sta meglio, Giancarlo.
Com’è stata?
“Una lezione di vita. Io non ho mai avuto patologie particolari o malattie gravi in precedenza. Sono diabetico, ma l’ho gestito. Un pomeriggio di due mesi fa, era domenica, mi sono sentito male mentre ero a casa. Non avevo febbre, né tosse. Ma avvertivo qualcosa di strano. Ho chiesto a mia moglie di chiamare il medico. È arrivata l’ambulanza che mi ha portato all’ospedale. Mai avrei pensato di restare là così tanto tempo, non ci pensavo proprio al Covid”.
E dove l’hanno portata?
“Al “Grassi”. Dopo l'attesa in ambulanza prima di essere ricoverato, mi hanno fatto la tac e da quella è emersa una polmonite in stato avanzato. Da andare in terapia intensiva”.
Qual è stato il momento più difficile?
“Ogni notte vissuta a pancia in giù, con il casco di ossigeno sulla testa che non ti permette di muoverti. Conti i minuti che arrivino subito le 6 di mattina affinché ti tolgano quel macchinario e inizi la giornata di terapie. Poi il fatto di vedere altre persone che non ce la facevano. Ci sono istanti in cui stai da solo e pensi al peggio, ma poi devi farti forza a tutti i costi. Mi hanno aiutato gli infermieri con la loro bontà d’animo e il poter interagire con il telefono su Facebook, stando a contatto con tanta gente anche se solo virtualmente. I messaggi e le testimonianze d’affetto ricevute hanno rappresentato per me una spinta incredibile”.
Si è anche raccomandato più volte con i suoi utenti, di prendere le precauzioni del caso per evitare contagi.
“E lo ripeto anche adesso. Il virus esiste ed è terribile. Nessuno di noi è invincibile. Mettete sempre la mascherina e state a distanza dal prossimo. Pure in contesti familiari perché il virus si può attaccare anche tra parenti. Come nel mio caso”.
Ovvero?
“Mia figlia è infermiera, lavora in una rsa. L’ha preso lei e tutta la famiglia è stata contagiata. Una decina di persone. Ma nella forma più acuta soltanto io”.
Leggendo i suoi post, ha avuto modo anche per pensare alla Roma in questo periodo di isolamento forzato.
“E come potrebbe essere il contrario? M’è mancata tanto. La Roma è uno degli amori della mia vita. Più quando ero ricoverato in ospedale, che non potevo avere notizie. Quando sono stato trasferito in clinica per la ripresa fisica, con l’aiuto di mio figlio, ho avuto modo per vedere delle partite attraverso videochiamate su whatsapp. Ci siamo organizzati così”.
Che tipo di tifoso si considera?
“Uno dei tanti. Ho tantissimi ricordi e racconti legati alla Roma. A 16 anni partecipai alla Colletta del Sistina. Diedi dei soldi per contribuire alla causa. Con il passare del tempo, poi, ho stretto diversi rapporti di amicizia organizzando serate e feste di celebrazione per la squadra. A partire dalla fondazione del Roma Club Alitalia, nel 1983. Che storia quella…”.
Raccontiamola.
“Io sono stato per anni dipendente dell’Alitalia. Lavoravo nell’ufficio del personale. Il fatto di fondare un Roma Club non era un’iniziativa vista di buon occhio. Ma sapevo che il direttore generale era romanista. Così un giorno mi presentai in ufficio da lui con una targa, dicendogli: “Mi prendo io la responsabilità e farò sempre il tutto con discrezione e professionalità”. Lo convinsi rapidamente. Così come quando misi su la festa a Villa Miani, in una delle location più belle di Roma. Inizialmente ci chiesero una quota alta per la cena a persona, poi li convinsi a rivedere gli accordi dicendo loro che all’evento avrebbero organizzato personaggi come Francesco Totti, Franco Sensi…”.
Nessuno le ha mai detto di no ad un invito ad una sua festa.
“Proprio così. Dino Viola ha sempre partecipato alle mie serate. Stessa cosa il presidente Sensi. Tra noi c’era un rapporto schietto, diretto, da romano a romano. Una volta mi propose addirittura di lavorare nell’ambito degli aeroporti per lui, ma risposi: “Preside’, io sono in Alitalia, in Serie A, mica posso retrocedere in Serie B…”. E non fu nemmeno l’unica volta che declinai un’offerta del genere…”.
Sentiamo anche questa.
“Dopo un’altra serata che ebbe particolare successo, “La notte dei capitani”, in cui portammo Amadei, Losi, Guarnacci, Santarini e anche altri, un dirigente della Roma di allora mi convocò a Trigoria chiedendomi la disponibilità a ricoprire un ruolo nel settore giovanile. Vedeva in me doti di organizzatore. Pure in quel caso non me la sentii. Ma io sono così, non ho mai chiesto favori e ho sempre comprato biglietti per andare allo stadio. A quasi 73 anni posso dire di essere una persona leale ed è per questo che la gente mi ha dimostrato affetto in questi ultimi due mesi”.
Tornerà allo stadio quando si potrà?
“Non vedo l’ora. Mi auguro che quel momento non tardi ad arrivare. Anche se ultimamente vedo troppi critici sulla Roma, soprattutto su Facebook, credo che tornare allo stadio è una cosa che manca a tutti. Ho cresciuto generazioni di romanisti, non solo figli, ho anche nipoti a Parigi. Ne ho contagiati tanti. Questo virus non fa male a nessuno, anzi. E, mi perdoni, me la fare dire un’ultima cosa?”.
Prego.
“Viva la vita, con il sorriso. E sempre forza Roma”.
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