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    Motta: "Il calcio di Fonseca mi ricorda quello della Juventus di Conte"


    Anche se è sparito dai radar del calcio italiano, Marco Motta è ancora un giocatore in attività. Dopo aver vestito le maglie di diversi club di Serie A – tra i tanti Roma e Juventus – il terzino è andato all’estero.

    Ha conosciuto il calcio inglese (Watford, Charlton), spagnolo (Almeria), cipriota (Omonia Nicosia) e, attualmente, è tesserato per il Persija Jakarta, società indonesiana. In giallorosso conta 42 partite tra le stagioni 2008-09 e 2009-10. “Roma non l’ho mai dimenticata e mai la dimenticherò”, dice il difensore classe 1986.

    Partiamo dal presente. Scelta particolare, quella di andare a giocare a calcio in Indonesia.

    “Devo dire che mi trovo molto bene. Le cose erano iniziate benissimo, il calcio indonesiano è stata una scoperta per tanti motivi, però poi la mia esperienza ha subito un rallentamento brusco per quello che è capitato nel mondo”.

    Come ha vissuto il primo lockdown e più in generale questo periodo condizionato dalla pandemia?

    “A febbraio e a marzo ero a Jakarta, in Indonesia. Lì la situazione era attenzionata, ma non critica come in Italia, con città completamente deserte e tanti contagiati ogni giorno. Si poteva andare in giro con maggiore tranquillità. Solo le scuole erano chiuse, i miei figli seguivano la didattica a distanza. Al momento, invece, sono in Italia, a Milano. Per fortuna nessuno di noi ha avuto il Covid. Quanto al calcio, non sappiamo ancora bene quando potrà ripartire il campionato in Indonesia”.

    Da quanto tempo è fermo il campionato?

    “Da marzo del 2020. Quasi un anno, in pratica. Abbiamo fatto allenamenti, qualche amichevole, ma gare ufficiali zero. Ci sono stati diversi momenti in cui erano state stabilite delle date per ripartire, ma poi i rinvii sono stati continui da parte delle autorità locali per motivi di ordine pubblico. C’è un grosso seguito qui del calcio, è quasi una religione”.

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    Addirittura una religione?

    “Sì, è il posto che più mi ricorda Roma da questo punto di vista. Ogni partita negli stadi si contano 60-70mila persone. Il grosso degli introiti di ogni società è ricavato proprio dall’incasso al botteghino. La nostra tifoseria, ad esempio, quella del Persija è una delle più calorose e conosciute in Asia”.

    Ha citato la piazza di Roma per la passione che trasmette.

    “Indimenticabile. La piazza giallorossa mi dava carica, adrenalina. Vedere un Olimpico sempre così vicino ti dava quella spinta in più per giocare meglio. Sono stati due anni fantastici, esaltanti, in cui sfiorammo anche uno scudetto per 45 minuti. Alla fine del primo tempo di Verona eravamo campioni d’Italia. Un po’ di delusione ce l’ho ancora per quello. Ma, soprattutto, se devo essere proprio sincero, dopo oltre dieci anni posso ammettere che avrei dovuto pensarci meglio prima di lasciare la Roma”.

    E passò alla Juventus.

    “Sì, a prescindere dal club in cui andai, dove comunque sono stato bene e ho anche fatto parte inizialmente di una squadra che avrebbe vinto lo scudetto, ma con Conte non trovai spazio. Peccato, il suo calcio esaltava gli esterni di fascia come me, in questo mi ricorda molto la proposta attuale di Fonseca”.

    Che ha nei suoi quinti di centrocampo due punti di forza.

    “Esattamente. L’emblema di questa filosofia, se vogliamo trovare un episodio simbolo, è il gol di Karsdorp contro lo Spezia. Cross di Spinazzola dalla sinistra, gol dell’olandese sull’altra fascia. Mi piace molto questo atteggiamento offensivo, la Roma allenata dal tecnico portoghese gioca bene e sta facendo un campionato d’alta classifica”.

    Ha menzionato Karsdorp, il suo omologo per ruolo. È sorpreso dal suo rendimento di questa stagione?

    “Mi piace, ha una buona gamba, forse può migliorare ancora in fase difensiva. È chiaramente un terzino offensivo, a cui piace spingere, proprio come lo sono io”.

    Venendo alla partita, la Roma può avere un piccolo vantaggio non avendo la pressione ambientale dell’Allianz Stadium?

    “Sicuramente giocherà più tranquilla. Scendere in campo in uno stadio senza tifosi è senza dubbio anomalo. È un’atmosfera simile a quella dell’allenamento settimanale. In pratica, si annulla il fattore campo. La Roma ha le sue chance. E mi auguro il risultato sia in linea con le vostre aspettative…”.

    È davvero rimasto legato all’ambiente della Capitale, pare di capire.

    “Assolutamente, come già detto. Ho avuto la fortuna di indossare una delle maglie più importanti a livello nazionale. Di essere allenato da due tecnici molto diversi, ma entrambi validi come Spalletti e Ranieri. Al primo devo tanto per avermi insegnato tante cose. E per avermi voluto in giallorosso, dandomi così la possibilità di fare il salto da una squadra media come l’Udinese ad un top club come la Roma. Mi diede fiducia subito, peraltro, schierandomi anche in un ottavo di finale di Champions League contro l’Arsenal. Bei ricordi, bellissimi momenti. Gli anni di Roma, nella Roma, hanno contribuito a migliorarmi e a diventare l’uomo che sono oggi”.

    "L'Olimpico pieno di tifosi della Roma dava un'adrenalina incredibile"

    - Marco Motta