Arrivare in vetta e non scendere più. C’è stata una partita nel 2000-01 in cui la Roma si è presa il campionato. È Roma-Reggina del 12 novembre 2000, 21 anni fa.
Sesta giornata, succede che la squadra di Fabio Capello vince la partita per 2-1 e inizia la fuga da capolista, tornando al primo posto dopo due turni in cui era scesa sul secondo gradino in seguito alla sconfitta di Milano con l’Inter.
Alla fine del match, la classifica recita: Roma 15, Atalanta 14, Udinese 13. Sono ancora attardate quelle che diventeranno seconda e terza forza, Juventus e Lazio. Il successo arriva grazie alle reti di Francesco Totti e Vincenzo Montella.
Due protagonisti indiscussi di quella stagione di gloria, entrambi chiuderanno a 13 gol nella classifica dei marcatori. Tre punti non banali perché oltre a riportare i giallorossi al comando della Serie A, sono i primi ad essere conquistati senza Gabriel Omar Batistuta in campo. Il bomber argentino resta fuori insieme al connazionale Walter Adrian Samuel. L’allenatore di Pieris ricorre al tridente italiano con Totti, Montella e Marco Delvecchio e in difesa trova spazio Amedeo Mangone.
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Per Montella è la prima da titolare in campionato. Prima del fischio di inizio, il capitano – al rientro dopo aver saltato Brescia-Roma – porta un mazzo di fiori sotto la Sud per la scomparsa di Dante Ghirighini, storico tifoso giallorosso.
Quello del “Daje Roma daje” e del discorso prima della partita dal muretto. Davanti la curva c’è la vespa di Dante, il mezzo con cui andava allo stadio. Totti sistema i fiori là sopra, il momento è toccante e commovente.
I 90 minuti si confermano impegnativi, tutt’altro che semplici. Dopo il vantaggio di Totti su calcio di rigore nel primo tempo, la Reggina di Colomba – in maglia celeste – trova il pareggio nella ripresa con un bel gol di testa del centravanti albanese Erjon Bogdani.
Il colpo scuote i padroni di casa, che si riversano testa bassa per trovare il nuovo vantaggio, ma Taibi sembra insuperabile. Fino a quando Montella non trova la stoccata vincente: lancio in profondità di Cristiano Zanetti, torre di Totti in elevazione, assist per l’aeroplanino che – di prima intenzione, al volo – incrocia di sinistro all’angolino dove il portiere ex Manchester United non può proprio arrivare. È il gol partita.
Montella poi viene sostituito a pochi minuti dalla fine dando il cambio ad Abel Balbo, che torna così a giocare in Serie A con la maglia della Roma dopo due anni. La Roma è prima, da quel giorno lo sarà fino alla fine.
Francesco Antonioli: Il “Corriere della Sera” del 13 novembre 2000, dopo la partita con la Reggina, scrive a pagina 35, criticando sibillinamente il portiere: “(…) Quando il presidente Sensi ha fatto la consueta tumultuosa passerella post-partita (…), i tifosi hanno urlato “con un portiere di serie C non si vincerà mai lo scudetto”. Invece, no. La Roma vincerà lo scudetto grazie anche agli interventi di Antonioli, portiere di rendimento e antidivo per eccellenza. 145 partite in giallorosso.
Antonio Carlos Zago: brasiliano di passaporto, ma poco verdeoro nei connotati del viso e nello stile di gioco molto più europeo. Centrale di difesa molto forte nell’uno contro uno, con la capacità di uscire a testa alta, palla al piede, dall’area di rigore. Era il primo uomo a costruire la manovra dal basso. 138 gare, 2 reti.
Amedeo Mangone: le vie del calcio e del calciomercato sono infinite. Lo sa bene lui, che arrivò alla Roma all’età di 31 anni dal Bologna nell’estate del 1999 per rinforzare il reparto arretrato. Non potendo arrivare al giovane centrale inglese del West Ham, Rio Ferdinand, Capello opta per l’usato sicuro. E Mangone non tradirà le attese, sarà uomo fondamentale anche nella stagione dello scudetto, soprattutto come uomo spogliatoio. 49 presenze.
Jonathan Zebina: arrivato dal Cagliari nell’estate del 2000, vincendo una sorta di ballottaggio di mercato con il danese Martin Laursen del Verona, il difensore francese diventa subito uno dei punti di forza della difesa giallorossa, facendo leva sulla sua freschezza atletica e lo strapotere fisico. A volte, però, si assentava. E Capello definiva affettuosamente quei passaggi a vuoto “Zebinate”. 126 partite, 1 gol segnato. Alla Juventus.
Marcos Cafu: campione del mondo col Brasile (due volte, 1994 e 2002), campione d’Italia con la Roma nel 2001. Alzò la coppa del mondo al cielo da capitano nel 2002. Icona del calcio mondiale, a Roma è ricordato anche per i palleggi sulla testa di Nedved nel derby deciso da un autogol di Negro nel 2000. 218 presenze, 8 gol.
Damiano Tommasi: “Gioca bene o gioca male, lo vogliamo in Nazionale”. Inizialmente, era un coro nato quasi per ironizzare sulle sue doti tecniche non eccelse. Col tempo, poi, è diventato titolare e leader indiscusso. Soprattutto nell’anno dello scudetto. Un 17 che portava fortuna e vittorie. 351 gare, 21 reti.
Cristiano Zanetti: preso dalla Roma in comproprietà nell’ambito della cessione di Luigi Di Biagio all’Inter nel 1999, inizialmente il suo arrivo viene snobbato dai più pur essendo un punto fermo dell’under 21 e uno dei centrocampisti più promettenti in Italia. Gli scettici, tuttavia, si convinceranno presto. La sua seconda partita da titolare in campionato è il derby Roma-Lazio 4-1 con i 4 gol giallorossi in mezzora. L’assist per la prima rete di Delvecchio è sua. E sempre lui, sempre in una stracittadina del 2000, provocherà l’autogol di Paolo Negro. 44 partite.
Vincent Candela: degno erede di una dinastia di terzini sinistri romanisti del calibro di Francesco Rocca, Sebino Nela, Aldo Maldera. Lui era diverso da tutti questi, era meno veloce, meno potente, ma trattava la palla da fuoriclasse. Quale era. 289 gare, 16 gol.
Francesco Totti: il 10. 786 partite, 307 gol (250 in Serie A). Con una maglia, quella della Roma. Serve altro?
Vincenzo Montella: il 9 della Roma per tante stagioni, nonostante non avesse la stazza dei bomber “pesanti”. Personalità spiccata, al punto da non concedere il numero a Batistuta nel 2000. Giocarono insieme e fu scudetto. Un Romario nato a Pomigliano D’Arco. 258 presenze, 102 gol.
Marco Delvecchio: aveva meno talento rispetto ad altri compagni di reparto, ma il suo sacrificio era imprescindibile per Capello. Il tecnico difficilmente ci rinunciava, anche se non era un fine dicitore. Ma quella finta a Nesta o Mihajlovic nei derby – oltre che i 9 gol nelle stracittadine – resta il suo marchio distintivo. 300 presenze, 83 reti.
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