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    Ginulfi: "Ho visto Maradona. E l'ho anche allenato"


    Alberto Ginulfi ha parato un rigore a Pelè, in un Roma-Santos amichevole del 1972. Lo sanno in tanti. Ma ha anche lavorato con Maradona, a Napoli, ai tempi di Bianchi e Bigon. E questo viene ricordato meno.

    Lo ha visto, vissuto, dal vivo. “Sono stato prima preparatore dei portieri, poi vice allenatore”. Ginulfi festeggia 79 anni il 30 novembre. È stato l’estremo difensore giallorosso in undici stagioni tra gli Anni 60 e 70, collezionando 201 presenze. Resta il guardiano dei pali della Roma nell’epoca del Sessantotto.

    Nel momento storico di rivoluzioni e cambiamenti, Ginulfi ha scritto la storia vincendo una Coppa Italia da protagonista, nel 1969 (la seconda delle nove). La sua carriera, da calciatore e da tecnico a vari livelli, ha vissuto capitoli non banali. Si può definire un testimone oculare del gioco del calcio. “O Rey” è stato suo avversario su un terreno di gioco, “El Diez” l’ha allenato. “Anche se allenato è ‘na parola grossa… Diego è stato il più grande di tutti, c’aveva poco da impara’”.

    Pelè e Maradona, che giocatori ha visto?

    “Pelè era un fuoriclasse immenso, nessuno gli poteva stare dietro. Diego è stato l’interprete massimo di un altro calcio. Molto più fisico e complicato. Aveva sempre uno o due difensori addosso, non era facile per lui. Eppure, non lo prendevano mai. Forse Pelè avrebbe avuto qualche difficoltà a giocare qui in Europa. Sicuramente avrebbe fatto la differenza allo stesso modo, ma il calcio da queste parti è una cosa diversa. Maradona è stato il più grande, ce l’ho scritto pure a casa su una foto sua con dedica”.

    Com’era viverlo quotidianamente?

    “A dire il vero non veniva sempre al campo, eh… (ride, ndr). Scherzi a parte, in partita lo abbiamo conosciuto tutti. I gol e gli assist meravigliosi che ha fatto. La domenica si metteva più al servizio dei compagni, piuttosto che pensare alle sue prestazioni. Poi, ovvio, emergeva per quanto era forte. Però, vederlo in partitella ogni giorno, mentre si allenava, era uno spettacolo puro per gli occhi. Diego e Careca facevano cose meravigliose. Giocavano solo a uno o due tocchi”.

    C’è un aneddoto o una storia che vi lega?

    “Capitava che mi faceva rimanere in campo dopo l’allenamento perché voleva divertirsi sotto porta a provare rovesciate o tiri al volo raccogliendo i miei cross. In particolare, succedeva quando pioveva e il terreno era particolarmente fangoso. Si divertiva proprio in quelle occasioni. Mi guardava e mi diceva: “Oh, Gino, oggi giochiamo”. Mi chiamava così, Gino. Come facevi a dirgli di no? Era fenomenale, segnava in tutti i modi con quel campo così pesante”.

    Che persona è stata?

    “Un uomo buono, generoso. Posso raccontare un’altra testimonianza in questo senso…”.

    Prego.

    “Un giorno arrivammo tutti al centro sportivo di allenamento nel pomeriggio. Solo che il campo era chiuso perché un magazziniere, che aveva le chiavi di tutto il complesso, si presentò in ritardo, dopo qualche ora dall’appuntamento. Aveva una Fiat 500, che lo lasciò per strada e che fu costretto a buttare. Diego gli comprò la macchina nuova. Questo per dire che persona era. Si appoggiavano in tanti a lui”.

    In campo, invece, a parte il talento?

    “Era un trascinatore, un autentico uomo squadra. Non l’ho mai visto riprendere un compagno, anzi li incoraggiava e con la sua presenza li faceva rendere al meglio. Non a caso il Napoli ha vinto due scudetti con lui in squadra. Gli unici della storia”.

    Prima accennava alla regolarità con cui si presentava al campo di allenamento.

    “A volte capitava di non vederlo, è una cosa che si sa. Ma nella stagione del secondo scudetto del Napoli (1989-90, ndr), da marzo in poi non saltò più un giorno. C’era il campionato da vincere, che poi si vinse, e il Mondiale di Italia 90 da preparare con la sua Argentina. Pure quello ce lo ricordiamo bene…”.

    Fisicamente, che atleta era?

    “Aveva un fisico eccezionale. Ha preso calci da tutti, non ha mai reagito, pur venendo preso di mira spesso. Vinceva le partite da solo. Certo, aveva una squadra dietro che lo supportava, ma lui era di un altro pianeta”.

    Lei, Ginulfi, come arrivò a Napoli?

    “Mi chiamò Giorgio Perinetti, allora ds del Napoli. Serviva un allenatore dei portieri nello staff di Ottavio Bianchi. Poi sono rimasto anche con Bigon da vice. Anni belli, senza dubbio”.

    Quando ha saputo della notizia della scomparsa di Maradona?

    “Sono rimasto dispiaciuto, tanto, perché era ancora giovane. La morte te l’aspetti, prima o poi arriva per tutti. Non pensavo così presto per lui. Aveva affrontato un’operazione da poco, sembrava fosse andato tutto bene”.

    L’ha più incontrato dopo quegli anni a Napoli?

    “No, non l’ho più visto. E quando è tornato in Italia quelle tre o quattro volte, aveva appresso tante persone ed era difficilmente avvicinabile. Mi sarebbe piaciuto salutarlo”.

    Che partita sarà domenica, Napoli-Roma?

    “Sarà una battaglia, per tanti motivi. Loro non possono fallire, dovranno fare la prestazione dal punto di vista agonistico e anche mentale. Ce la metteranno tutta. Ma dovranno fare i conti con la Roma di oggi. La squadra di Fonseca sta bene, ce la giochiamo alla grande. Io tifo Roma, visceralmente. Si sa bene anche questo”.

    "Napoli-Roma sarà una gara complicata, per tanti motivi"

    - Alberto Ginulfi