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    La Roma piange la scomparsa di Joaquin Peirò


    Ha dato il meglio dopo i trent'anni, età che a lungo è stata considerata quella dell'inizio del declino per i calciatori. E a trent'anni è giunto a Roma, Joaquin Luca Peirò, portato in Italia dal Torino. Aveva trascorso stagioni importanti all'Inter, dove visse una situazione paradossale: giocava poco, ma solo nelle partite più importanti di campionato e soprattutto in Coppa dei Campioni. Era spesso decisivo, ma a un certo punto non gli bastò più. Rispose nel 1966 alla chiamata di una Roma che aveva bisogno di un giocatore esperto che potesse fare da guida a tanti giovani. Aveva bisogno anche di uomo-gol, lui però non era un centravanti e quando Oronzo Pugliese lo arretrò, per lasciare spazio a Fabio Enzo in attacco, Peirò iniziò a dare il meglio.

    “I miei anni migliori sono stati quelli trascorsi alla Roma”.

    - Joaquin Peirò

    Proprio in un derby servì a Enzo il pallone della vittoria. Partendo da dietro, gestiva meglio le energie, non essendo abituato a giocare tutte le partite, e faceva girare tutta la squadra. Regista offensivo finissimo, ottimo nel dribbling e nel chiedere e dare sponda ai compagni, grazie ai suoi inserimenti offensivi finì anche col segnare 9 gol nella sua prima stagione. Alla fine del 1967 divenne anche capitano (in assenza di Losi) e nella sua prima partita con la fascia al braccio, l'ultimo dell'anno, servì un pallone geniale a Giuliano Taccola, mandandolo in gol.

    L'anno successivo ritrovò Helenio Herrera, che, accantonato Losi, ne fece il capitano designato (il quindicesimo dal 1927) e il leader della squadra. "Sei un fuoriclasse e come tale devi rendere", gli disse. In una partita contro il Napoli il tecnico, squalificato, affidò a lui il compito di guidare la squadra, ma dal campo. Sbagliò un rigore, ma fu comunque tra i migliori e la Roma vinse 2-1. Riuscì a ripagare il tecnico a suon di grandi prestazioni e fu il trascinatore della squadra che vinse la Coppa Italia nel 1969. Stupendo il suo gol nella gara decisiva a Foggia. Spostato sulla sinistra, lungo la linea di fondo, mentre tutti, attaccanti e difensori, si aspettavano il cross, calciò da fermo un pallone con un effetto tale che, dopo aver rimbalzato sul palo opposto, s'infilò in porta lasciando tutti sbalorditi. I giocatori della Roma, dopo un attimo di sorpresa, corsero ad abbracciarlo. Quelli del Foggia lo applaudirono. Ottimo il rendimento anche nella sua ultima stagione in giallorosso, 1969/70. Segnò in un derby di Coppa Italia poi sospeso (e vinto a tavolino) perché si spensero le luci, siglò un'altra rete spettacolare, da ex, contro l'Inter, lasciando sul posto un mito come Facchetti, e memore delle notti di coppa vissute in maglia nerazzurra, fu grande condottiero della cavalcata in Coppa delle Coppe conclusasi con lo sfortunato spareggio in semifinale contro il Gornik. Se Herrera avesse ascoltato lui, avrebbe vinto anche quel sorteggio, come aveva fatto col PSV Eindhoven. Peccato, perché lui e la Roma avrebbero meritato anche quella coppa.

    “Ha una classe immensa, è un fuoriclasse”

    - Helenio Herrera