
Il numero 34 giallorosso Justin Kluivert è stato il protagonista di uno speciale video di The Players' Tribune intitolato ‘Remember the name’, in cui ha raccontato del peso di portare un cognome tanto pesante, di come abbia iniziato a diventare calciatore e delle convinzioni in base alle quali sta cercando di portare avanti la sua giovane carriera.
Qui di seguito una sintesi delle sue parole.
“Quando porti il cognome Kluivert, tante persone si aspettano tantissimo da te, sin da quando sei piccolo. Nella mia testa, già a nove anni, mi dicevo: «Aspettate, ve lo farò vedere sul campo di cosa sarò capace». Nella casa dove sono cresciuto in Olanda, bastava saltare la staccionata ed eravamo subito sul campo di gioco. È lì che ho imparato a giocare a calcio, lì mi sono fatto le ossa e ho imparato le basi: giocando contro i ragazzi più grandi, cadendo, rialzandomi, perdendo e vincendo. Avevo circa 14 anni quando ho pensato che potevo fare qualcosa nel mondo del calcio. Già da qualche anno giocavo per l’Ajax, stavo andando bene. In quel periodo ho capito di avere delle buone qualità. Quello è il momento in cui inizi a pensare come un ragazzo grande. «Posso essere bravo. Mi allenerò così, lavorerò meglio sul mio tiro e sul mio dribbling». In quel momento capivo che il mio sogno stava diventando un po’ più reale”.
"Ammiravo mio padre, lui è stato un grandissimo giocatore. Anche io volevo diventare un calciatore come lui. Credo di aver lavorato duramente per essere un giocatore, facendo diversi sacrifici. Ho imparato molto da lui e sto ancora imparando. Sono grato di avere qualcuno così nella mia vita che possa darmi consigli preziosi. In questi giorni vedo ancora il suo nome spuntare quando si parla del calciatore più giovane a segnare in Champions League. È bello che abbia raggiunto quei record, ma poi penso «È stato molto bravo, ma era un attaccante e quindi doveva segnare» (ride, ndr)”.
“La dedizione è tutto. Nulla ti cade in mano dal cielo. Devi volere veramente una cosa, perché ovviamente se chiedi a centro ragazzi di 15 anni se vogliono diventare dei grandi calciatori professionisti, è ovvio che tutti diranno di sì. Il giorno dopo, però, vanno a una festa oppure dormono fino all’una di pomeriggio. La dedizione deve esserci sin da quando si è piccoli. Parli con te stesso e ti dici: «Vuoi andare con i tuoi amici ma domani hai una partita? Allora domani non segnerai». È così che devi pensare. Il giorno dopo giochi il match dopo essere andato a dormire presto e segni. È questo a darti buone sensazioni, sai che ti aiuta. Ovviamente a volte puoi uscire con i tuoi amici, ma devi sapere quando puoi farlo e quando no. Se hai un sogno, devi fare di tutto per realizzarlo. Devi lasciare tutto il resto per arrivarci, è questo il punto cruciale”.
“Sui miei scarpini c’è il mio cognome. Su quello sinistro c’è la bandiera dell’Olanda, la mia parte bianca, quella di mia madre. Sul destro ho le due bandiere del Suriname e di Curaçao, la nazionalità di mio padre e anche la mia. Sul piede sinistro c’è anche la bandiera di Amsterdam, perché è il posto dove sono cresciuto”.
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