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Passato, presente e futuro di De Rossi in 12 punti


Daniele ha parlato di Roma e non solo in una lunga intervista concessa alla rivista 'Undici' dove si è raccontato a 360 gradi: qui un estratto delle sue parole...

Daniele de Rossi ha parlato di Roma e non solo in una lunga intervista concessa alla rivista 'Undici' dove si è raccontato a 360 gradi parlando della sua infanzia, degli inizi nel calcio e nella Roma, dei successi e dei rimpianti, del suo amore per i colori giallorossi e del rapporto con Spalletti e Totti, fino ai progetti per il futuro.

Ecco qui di seguito alcuni passi della sua intervista…

1. Daniele bambino

“Da piccolo ero felice. Non mi è mai mancato niente, non abbiamo mai navigato nell'oro: mio padre giocava a calcio in serie C, mia madre era la segretaria del presidente dell'Eni. Il primo choc l'ho avuto a sette anni e mezzo quando è arrivata mia sorella e l'altro piccolo choc era spostarsi per seguire mio padre: non mi è mai piaciuto tantissimo, non ho le cicatrici dei miei ripetuti spostamenti, però dovevi andare in altri posti, eri sempre quello che aveva il dialetto diverso”.

2. Lo sport nel DNA

“Da ragazzino ero ancora un po' confuso, mi piacevano tanto la pallavolo e il basket. Ero sicuro che avrei fatto lo sportivo, ma dovevo orientarmi. Farò il calciatore come lavoro, potrò permettermi di campare col calcio, l'ho pensato solamente anni e anni dopo”.

3. Il calcio come divertimento

"Da bambino inizi a giocare a calcio ma non lo facevo perché avevo la prospettiva o la presunzione di diventare voler diventare un calciatore. Lo facevo perché mi piaceva proprio. I primi anni ho anche giocato poco nella Roma infatti, non ero uno dei titolari, non ero una delle stelle individuabili come il futuro campione, il futuro capitano della Roma. Non ero per niente così”.

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4. Il cambio di ruolo negli Allievi Nazionali

“Durante un Arezzo-Roma, ricordo che mi scaldavo con quello che ora è uno dei miei migliori amici, Emanuele Mancini. Perdevamo 1-0, chiamano, fischiano: "Entra". Emanuele pensava che dicessero a lui. Invece dicevano a me. Entro: faccio uno o due assist, cambio la partita, vinciamo 2-1. Ma la cosa che più ricordo è che in quella partita viene espulso il nostro capitano in maniera ingiusta. Difendiamo il 2-1 fin quasi all'ultimo minuto, quando un difensore centrale sbaglia un passaggio, io rincorro l'avversario lanciato a rete, lo strattono, lo stendo, l'arbitro fischia fallo ma non mi butta fuori perché palesemente si è sbagliato prima. Ecco: io entro, cambio la partita, non vengo squalificato mentre il mio compagno sì e io dalla partita dopo prendo il suo posto a centrocampo. Da allora quell'allenatore non mi ha fatto più uscire. Era Mauro Bencivenga. Gli devo molto, gli devo l'aver capito prima di tutti quale fosse il mio ruolo. Anche prima di me”.

5. Vincere a 22 anni

“Io ho vinto subito a 22 anni. Se vinci a 27 è un'altra cosa, a 22 invece significa iniziare con il botto e avere un certo tipo di aspettative. E' stato velocissimo: prima l'Europeo con l'Under 21, poi la medaglia di bronzo alle Olimpiadi, poi a 22 anni boom: campione del mondo. Quella è stata forse la fregatura: non aver continuato a vincere. Forse se lo aspettavano tutti. In quei momenti avevo il telefono che scoppiava. Ogni giorno c'era una squadra nuova, ogni giorno c'era qualcuno. Io la vivevo come una cosa bellissima, però poi alla fine c'era questo sentimento forte che mi rendeva anche abbastanza conscio del fatto che forse avrei vissuto male il distacco”.

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6. Scelte consapevoli

“Mi rammarica non aver vissuto l'atmosfera di un altro Paese sia dentro gli stadi sia fuori dagli stadi. Mi sarebbe piaciuto vedere come si vive da un'altra parte. Ho fatto però sempre scelte consapevoli, anche se qualcuno le può considerare incoscienti: io ero conscio del fatto che erano scelte professionalmente "sbagliate”. Questa tipologia di scelta viene letta e vista come una cosa di grande altruismo, di amore per la maglia, di amore per i tifosi. Ma è una parte della verità. L'altra è che la mia scelta è stata molto egoista, perché io avevo proprio bisogno di giocare con la Roma. Ho il piacere fisico ed emotivo di giocare con questa maglia. Gli anni in cui sono stato lì lì per andare via, quando magari a Natale sapevo che a gennaio avrei potuto lasciare Roma, sono stati molto particolari. Di solito all'ultima partita in casa a Natale, i giocatori pensano che al fischio finale comincia un periodo di vacanza. Invece io in quei momento entravo in campo e avevo gli occhi lucidi di lacrime. Guardarsi intorno e pensare che era l'ultima partita all'Olimpico... Mi è successo e ho capito che senza questa cosa non posso stare. Vivere senza Roma sarebbe stata una cosa che mi avrebbe fatto più male del non aver vissuto un Real Madrid-Barcellona, o di non aver calcato gli stadi inglesi più belli. Almeno io la penso così, però la controprova non la potrai mai avere”.

7. Il presente

“Sto bene. Sono felice. E' un annetto che ho ricominciato a sentirmi un calciatore fino in fondo. Un calciatore di livello alto. Prima ero sceso di prestazioni, era diminuita la convinzione che il mio fisico potesse reggere nel calcio italiano ed europeo a certi livelli. Poi, un po' la mia caparbietà, molto l'Europeo e il pre-Europeo con Conte e tutto il lavoro che ha fatto Spalletti e questa grande squadra che ha creato, hanno fatto sì che tutto fosse più facile. Ed è da un po' che s'è incastrato tutto: arriva Conte, ti motiva in certi modi quando le cose non andavano bene, l'Europeo va in una certa maniera, anche se poi finisce male, ma è stato comunque un campanello: a certi livelli ci puoi ancora giocare e anche bene. Poi la Roma ricomincia e la stagione, sia dal punto personale sia dal punto di vista di squadra, va bene, e quindi tutto mi ha fatto orientare verso il fatto di essere ancora un ottimo calciatore”.

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8. La stima per Spalletti

“E’ stato l'allenatore che mi ha condizionato di più, quello che ho avuto per più tempo. Mi ha preso che ero giovanissimo. Oggi mi rendo conto che quando lo sento parlare di un giocatore, di una situazione, di un movimento, io ho pensato la stessa cosa un'ora prima. Ho cominciato a vedere il calcio con gli occhi di questo allenatore. Ed è un bel vedere. Al di là di che cosa farò io, al di là che a volte ha un carattere difficile, la Roma dovrebbe fare di tutto per trattenerlo perché sarà più forte (…)”.

9. Il rapporto con Totti

“Io mi sono permesso in questi 16 anni un lusso che a Roma si sono permessi in pochi: viverlo non solo come un idolo. Stare tutti i giorni con lui ti porta a vivere come una cosa normale l'essere accanto a un calciatore che non è normale. Perché quello che ha fatto non è normale, perché è un fenomeno e lo è stato per 25 anni. Rimane l'infervoramento che ho sempre avuto per il calciatore, ma l'ho sempre trattato come un mio compagno qualunque, come trattavo Tonetto, Cassetti, Vucinic per dire quelli a cui mi sono affezionato particolarmente. Come trattavo Pirlo in nazionale. Non perché il livello del calciatore fosse lo stesso, ma perché quando diventa un amico, il fatto che sia il più forte calciatore della storia della Roma, fra i cinque calciatori più forti della storia del calcio italiano - e secondo me, per certi versi, il più forte di tutti - non tocca la mia percezione di lui. Quindi, quando dovevo proteggerlo da un avversario, lo proteggevo, quando ci dovevo discutere ci ho discusso, quando qualcosa non mi stava bene gliel'ho fatto notare, quando dovevo mostrargli affetto glielo mostravo”.

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10. Il futuro

“Ci sono quelli che vogliono smettere presto, quelli che vogliono smettere a 40 anni: io penso di voler fare una via di mezzo. Voglio chiudere con grandissima dignità. Se dovessi vedere che non c'è più una condizione accettabile e che non sto più al ritmo dei miei compagni smetto, ma non come autoflagellazione, autopunizione, semplicemente come una presa d'atto delle cose”.

11. Allenatore?

“Potrei farlo. Vedo tanti giocatori dire: io l'allenatore mai, quando smetto sto in vacanza una vita. Poi, dopo sei mesi, farebbero qualunque cosa per allenare anche in serie C. Io, invece, non lo escludo. Sono fortunato. Ho avuto due tra i dieci allenatori migliori del mondo: Spalletti e Conte. Il terzo è Luis Enrique. Con un altro, Guardiola, ho giocato, e se dovessi prendere una panchina chiederei di andare a guardarlo per imparare. Sì, l'allenatore potrebbe essere una cosa che mi piacerebbe fare. Non subito, ma con i tempi giusti mi potrebbe interessare”.

12. Progetti

“Il più semplice è che il primo anno dopo che smetterò mi piacerebbe fare tanti viaggi, girare il mondo, girarlo con i miei figli. Faccio esempi molto banali, ma viaggiare è la cosa che mi riempie di più…”.

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