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    9 gennaio 1977 la prima volta del Cucs: lo striscione ora è custodito dal Club


    Ce l’ha una casa il vento? Credo di sì, da poco più di un anno...

    “Insieme agli amici più cari abbiamo deciso di mettere a disposizione dell’Archivio Storico dell’AS Roma parte del materiale storico del Commando Ultrà Curva Sud, a cominciare dal primo striscione datato 1977. La decisione è stata presa dopo averne verificato gli standard di serietà ed affidabilità con lo scopo di conservare e preservare oggetti che altrimenti andrebbero distrutti.

    Con questo gesto, sofferto ma carico di emozione, vorremmo donare a tutti i tifosi della Roma la nostra storia e i nostri ricordi. Siamo nati e abbiamo vissuto con l’unico scopo di essere al servizio della squadra e della sua gente. Se nei nostri lunghi anni di militanza abbiamo sempre considerato il Commando un patrimonio di tutti, da oggi lo sarà per sempre. Forza Roma”.

    "Siamo nati e abbiamo vissuto con l’unico scopo di essere al servizio della squadra e della sua gente. Se nei nostri lunghi anni di militanza abbiamo sempre considerato il Commando un patrimonio di tutti, da oggi lo sarà per sempre"

    - Commando Ultrà Curva Sud

    Poche righe per comunicare una cosa enorme: il Cucs ha donato il suo primo striscione storico – cioè la sua firma, il suo spid dell’anima, la sua faccia, il suo cuore, i suoi graffi, gli occhi – alla Roma. Credo sia la cosa più romantica della storia romanista. Per un gruppo lo striscione rappresenta la vita stessa, darlo alla Roma è chiudere un cerchio, un compiersi da parte di chi alla Roma ha dato sempre tutto.

    “Commando Ultrà Curva Sud”, 42 metri di storia esposti per la prima volta il 9 gennaio 1977 in un Roma-Sampdoria finito 3-0 per forza e per amore con una doppietta – come la doppia b di Dibba – di Agostino Di Bartolomei. Ventidue anni in Curva Sud e per sempre nel cuore. Spazio 1999.

    Poi quasi altrettanto prima di questo gesto: adesso il Commando Ultrà Curva Sud è idealmente “messo a disposizione” e concretamente conservato in un Archivio il cui lavoro di cura, premura e pazienza è tanto sconosciuto quanto prezioso.

    Il conteggio degli oggetti fisici supera le 1.000 unità, tra cui 5 striscioni, 4 tamburi, 300 documenti cartacei, 3 audiocassette con la voce della Curva, 200 tra biglietti di partite e tessere di abbonamento, decine tra monografie, periodici rilegati, sciarpe e t-shirt.

    - Il materiale messo a disposizione dell'Archivio Storico dal CUCS

    È il luogo, per esempio, dove Dybala ha affidato la sua medaglia da campione del Mondo. Ma è più di questo. Sono le cose belle della Roma. Le cose dietro le quinte. Quelle che si fanno per gli altri e che non si devono subito vedere. Forse mai. Come una coreografia. Come una poesia. Ci sono magliette, lettere, foto, oggetti, figurine, libri, quaderni, le nostre cose care perdute e recuperate, mantenute, scoperte, conservate, preservate, tramandate.

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    È il nostro dna e per “gli amici più cari” vita vera, vita profondamente vita. Per tante persone quello striscione non è stoffa, ma sangue. Rappresenta un pezzo di vita o ciò che restava di quella. Ci sono persone che si sono separate dal ricordo più bello del loro marito o del loro padre dando questa “cosa” alla Roma. Questo è. Nient’altro che questo è.

    Ce l’avete una cosa cara per voi? Le cose care, quelle che cerchi di mettere a casa nel posto più giusto, dove sai che non possono perdersi: un braccialetto, una bambola, una lettera, un fiore secco, il quadretto di lei, la fede, Goldrake, i trasferelli, il primo album delle figurine, l’ecografia di tuo figlio, i guanti di Hiroshi: quello che per te è importante. Le cose care non sono cose, e smettono di esserlo definitivamente nel momento stesso in cui riesci a separartene senza perderne il profumo, il senso, il ricordo. Un po’ come un figlio.

    Il compito di un genitore è quello paradossale di allontanarlo da sé: già la nascita è un venir fuori e poi si tratta di accompagnarlo fino a che potrà camminare solo (senza mai smettere un attimo di volerselo abbracciare come il primo giorno).

    "Quello striscione è sempre stato appeso fra cielo e terra, e invece di seppellirlo in uno scantinato, verrà messo in un luogo vivo e curato"

    - Tonino Cagnucci

    Questa donazione, questa “messa a disposizione” è un paradosso perché nel momento in cui chi ha fatto il Commando lascia andare per sempre il Commando lo riporta alla madre: la Roma. Questa è l’ultima coreografia, invisibile, l’ultima paradossale trasferta perché è verso casa.

    Quello striscione ha tenuto insieme generazioni e ancora tiene insieme chi sta qui e chi è andato dall’altra parte con la Roma nel cuore. È sempre stato appeso fra cielo e terra, e invece di seppellirlo in uno scantinato, verrà messo in un luogo vivo e curato. Amato.

    Il luogo dell’anima che dà senso a tutto questo per noi: la Roma. È come l’acqua che va al mare, è come il vento che va… al vento. Roberto Stracca scrisse: "Il Commando Ultrà è una forza della natura, è come il vento… E chi può fermare il vento?". Nemmeno il tempo.

    Io penso che ci sia stato un tempo fatto di grandi persone, di grandi sentimenti e di grandi sospiri. E di sogni talmente ingenui da risultare veri. Di cuori folli. Io penso a Geppo che era un poeta. Penso a tutti quelli che non ci sono più e a tutti quelli che ci sono stati che avevano una grande passione nel cuore e meritavano di raccontarla… O che venga ancora raccontata.

    Penso ai ragazzi del Commando Ultrà che oggi sono uomini e donne, padri e madri, e che io mi spizzavo mica solo per 90′, ma da quando entravo allo stadio. Nulla di tutto questo andrà perduto. Nulla è perduto.

    Personalmente da quando scrivo di Roma – una vita – niente mi potrà ripagare più della commozione che ho visto in loro quando hanno dato – ancora una volta, ma stavolta per sempre – tutto alla Roma. Nei loro abbracci c’erano i compagni e gli amori scomparsi, c’erano i tempi di Agostino e quelli di Totti, quelli di Giannini e di Birigozzi.

    Quell’ipnotico e profumato color arancio che avevamo negli occhi al sole la domenica all’Olimpico, che spiegava veramente il significato di essere e sentirsi giallorossi. Tutte le coreografie fatte e quelle non realizzate, le trasferte in ogni parte e le preghiere davanti alla radio nelle camerette. Le voci svociate.

    C’erano loro: quelli che restavo a guardare cercando il coraggio per imitarli. Stavolta l’esempio non è più solo riuscire a vincere la timidezza e vendere i libri davanti alla scuola, ma scendere di qualche fila in più per l’ultima coreografia, continuare a scendere di seggiolino in seggiolino fino a poter veramente considerare tuo quello striscione. Stavolta l’esempio è lo stesso: amare. Non c’è niente di più ribelle, di ultras, anzi di ultrà, che amare.

    "Siamo nati e abbiamo vissuto con l’unico scopo di essere al servizio della squadra e della sua gente. Se nei nostri lunghi anni di militanza abbiamo sempre considerato il Commando un patrimonio di tutti, da oggi lo sarà per sempre. Forza Roma".

    C’è stato un tempo in cui il popolo è stato al potere e con quel potere ha detto ti amo. Ce n’è stato un altro in cui con quell’amore ha soprattutto resistito.

    Ora è il tempo in cui quell’amore è nel vento.