"Sono nato con la Roma". Dice proprio così Arcadio Venturi. Oggi compie 92 anni: 2 in meno della Roma. Capitano leggendario, famer del Club dal 2016, ex mediano con facoltà di attaccare, Venturi ha una memoria incredibile: "Se vuole, le dico tutti i ristoranti dove andavo a mangiare a Roma nel 1948. Pagavo 300 lire al pasto".
Questa che nasceva come intervista non può essere un'intervista: Venturi è un grande libro dei ricordi. È uno degli ultimi testimoni della Roma del Secondo dopoguerra.
Non è romano - è nato il 18 maggio 1929 a Vignola, nel modenese - ma è uno di noi. È romanista per davvero. E non solo perché ha vestito questa maglia per nove stagioni, dal 1948 al 1957, collezionando 290 presenze e segnando 18 gol.
"Chi è un giocatore della Roma lo è per tutta la vita. Dopo la Roma sono andato all'Inter, ho lavorato per la Juventus e per il Bologna e vi posso assicurare che come Roma non c'è niente. Nessun posto è paragonabile a Roma. Neppure Genova, che pure le somiglia. La passione che c'è a Roma non esiste da nessun'altra parte. Il tifo è radicato nella gente".
"Mi posizionavo davanti alla difesa. Ero un regista. Nel quadrilatero, ero il centrocampista più tecnico. Ero quello che faceva giocare la squadra".
"Sono stato poco bene, ma mi sto riprendendo. Ho avuto il Coronavirus. Ora sto meglio. È stata dura".
"Sgridai tanto Alcides: non volevo che chiamasse Arcadio il figlio. Perché era un nome strano (Venturi ridacchia bonariamente, ndr)". Alcides lo aveva fatto in segno di affetto. Arcadio, infatti, lo aveva aiutato ad ambientarsi a Roma. Non solo. Dato che non era arrivata la documentazione necessaria, Ghiggia giocò la prima partita sotto la responsabilità del suo capitano. Appunto Arcadio Venturi.
"Vincenzo Biancone ci dava sempre dei consigli. È stato un bravo direttore sportivo. Quando nel '51 volevo farmi una Topolino, temevo che Biancone non mi avrebbe dato il permesso. Lui mi chiese quale modello fosse. Se fosse stata una sportiva, non me lo avrebbe dato. Era un papà".
"Prendevamo 25 mila lire a punto. Erano tanti soldi. Per quanto riguarda lo stipendio, vivendo in una città di oltre 500 mila abitanti, guadagnavamo 100, 105 mila lire. A Bologna, per intenderci, percepivano 70 mila lire. C'erano dei calmieri stabiliti dalla Federazione. Sarebbe stato meglio giocare oggi in Serie A... A fine carriera ti mettevi da parte qualcosa, ma non bastava: dovevi continuare a lavorare".
"Certo che ho visto l'ultimo Derby. Abbiamo vinto e non ci speravo, perché i nostri avversari quest'anno erano forti. La Roma gioca bene, anche se quest'anno le è mancato qualcosa. Questo allenatore mi piace. E ora arriverà Mourinho: è un allenatore da Roma, è un condottiero".
"Io e mio figlio Maurizio siamo sempre in contatto con la Società. Ho donato tutto alla Roma, anche la mia divisa all'Olimpiade di Helsinki. Sono contento, perché so che il Club metterà ogni cosa in un museo. Persino i miei vecchi contratti. Così, i miei nipoti continueranno a leggere il mio nome".
"E poi la Roma fa qualcosa per i suoi ex calciatori che nessun'altra società fa: riserva un posto allo Stadio per loro e per la persona che mi accompagna. A me basta telefonare il venerdì prima della partita. Negli altri club dove ho giocato, invece, devo pagare il biglietto".
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