A metà del 2015 gli facemmo visita nell'abitazione di Vignola, sua città natale in provincia di Modena. Sul finire di una lunga chiacchierata Arcadio Venturi prese una pubblicazione che lo ritrae in copertina insieme a Pepe Schiaffino e ce ne fece dono. Non prima di lasciarci impressa una dedica rivolta alla Roma: “Ricordando il più bel periodo della mia vita”. Quel periodo durò nove stagioni, dal 1948 al 1957. Duecentonovanta presenze che videro questo straordinario numero 6, talvolta numero 10, ricevere il testimone dagli ultimi eroi della Roma di Testaccio, riportare i colori giallorossi in Serie A e – infine – lanciare quei volti più o meno nuovi che a distanza di pochi anni avrebbero vinto prima la Coppa delle Fiere e poi la prima Coppa Italia.
L’inizio del cammino romanista di Venturi è in un verbale societario del 19 luglio 1948, un rapido passaggio in cui si mette nero su bianco come il Vignola avesse “aderito alle condizioni per l’acquisto” del giocatore. Parte così, senza squilli di tromba, l’avventura di quello che rapidamente diventerà uno tra i più grandi capitani della storia romanista.
Talmente forte, Arcadio, da riuscire nell’impresa di essere il primo calciatore a vestire la maglia della Nazionale nonostante la sua squadra militasse in Serie B. Primo, pure, tra i romanisti approdati in azzurro nel secondo dopoguerra.
Mediano e all’occorrenza mezzala, Venturi univa la quantità del suo moto infinito ad una tecnica individuale che gli consentiva di fare la differenza. A prescindere dal risultato finale. Come il 10 ottobre del 1954, quando segna un gran gol contro il Bologna che le inconfondibili cronache dell’epoca raccontarono così: “Intercettato con fine senso dell’anticipo un passaggio di Cervellati a Pivatelli, s’incuneava nell’interno della difesa rosso-blu e tirava direttamente a rete con forza e precisione. La palla, colpito lo spigolo interno del palo sinistro, schizzava in rete”.
Capitano leggendario, nella veste di leader in campo si ritrovò addirittura a fare da garante ad Alcides Ghiggia nel giorno del debutto ufficiale in giallorosso dell’ala uruguaiana, il 13 settembre 1953. Così il numero 7 sudamericano, non essendo stata trasmessa la documentazione di prassi dalla federazione, si ritrovò a giocare “sotto l’assunzione di responsabilità” di capitan Venturi.
Quel legame burocratico e di spogliatoio diventerà in fretta – nonostante due personalità e due stili di gioco così differenti – una grande amicizia, al punto che Ghiggia battezza suo figlio con il nome Arcadio.
Punto fermo a prescindere dall’avversario e dal palcoscenico – per Venturi il punto fermo era ed è la maglia giallorossa – nel 1957 deve accettare la sua cessione all’Inter, a cui la Roma si vede costretta per superare un momento di difficoltà. Venturi va via, non senza lasciare ai tifosi giallorossi uno dei saluti più belli.
In una lettera d’addio pubblicata dal Corriere dello Sport, un augurio rivolto ai tifosi: “Non mi dimenticheranno, come io non li dimenticherò”. L’elezione nella Hall of fame dimostra che questo auspicio si è trasformato in realtà.
COMPETIZIONE | PRESENZE | GOL SEGNATI |
Massima Divisione | 251 | 12 |
Serie B | 37 | 6 |
Mitropa Cup | 2 | 0 |
Totale | 290 | 18 |
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