“Il suo stacco di testa, alto com’era (1.78), risultava perfetto, senza sforzo. Ma addirittura favoloso era il senso di posizione. Aveva occhi di lince, gli bastava una semplice occhiata per vedere tutto il campo, la sua mente strategica prevedeva ogni mossa avversaria. Che io sappia, solo Meazza, Pelè e Di Stefano furono capaci di tanto. Forse qualche altro, loro certamente. Tutto ciò veniva sublimato dal ruolo di centromediano, perno e asse portante della squadra. Fulvio era mancino nato, e perciò calciava di preferenza col piede sinistro. Ma col tempo e l’applicazione riuscì ad usare a dovere anche il destro. Non era uno scattista ma aveva una gran falcata. A chi lo accusava di lentezza sfuggiva il fatto che Fulvio calciava di prima e già per questo il gioco ne risultava accelerato”.
Lo splendido ritratto di Fulvio Bernardini a cura del grande Vittorio Finizio, se illumina con maestria la cifra tecnica del “Dottore” del calcio italiano, non è sufficiente a chiarire i contorni della grandezza smisurata di questo atleta.
Bernardini incarna l’essenza stessa dell’essere romanista e questo non solo per le qualità sul campo, dove ha dimostrato di essere uno dei talenti più grandi del calcio europeo, ma anche per lo spessore fuori dal campo dove si è proposto come un esempio di lealtà, rigore morale e comportamento sportivo nell’eccezione più bella del termine.
Si è scritto per anni che Vittorio Pozzo lo escluse dalla Nazionale perché “troppo bravo”. L’aneddoto è legato alla vigilia di Italia – Ungheria del 13 dicembre 1931. Quando Fulvio era già in tenuta da gioco Pozzo lo avvicino e abbozzò un breve discorso riportato dal fuoriclasse romanista in un’intervista concessa, molti anni dopo, a Mario Sconcerti. “Scusi ma la metto fuori perché lei è troppo più bravo degli altri. I suoi compagni non arrivano alla concezione che lei ha del gioco. E’ troppo superiore. Dovrei quasi chiederle di giocare meno bene”.
Fulvio Bernardini è rimasto per la Roma una sorta di stella cometa che ha indicato la via verso un destino di grandezza e sublimazione dell’etica sportiva. Un punto di riferimento impossibile da dimenticare.
Non è un caso se nel 1979, quando Dino Viola rilevò la presidenza della Società, uno dei primi accenni fu dedicato proprio a Fulvio: “Lo inseguivo a Ostia per chiedergli l’autografo. Lo sentirò per avere delle valutazioni da lui”, disse il presidente del secondo Scudetto.
Lo stesso Viola, nel 1984, intitolò il Centro Sportivo di Trigoria proprio al grande idolo di Testaccio radicandone ancora di più il ricordo nel DNA del Club.
Competizione | Presenze | Gol segnati |
Gol segnati | 285 | 47 |
Coppa Italia | 8 | 0 |
Coppe europee | 10 | 0 |
Supercoppa | 0 | 0 |
Totale | 303 | 47 |
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