Giovedì 29 luglio 1926. È estate piena, le temperature medie italiane toccano i trenta gradi. È un momento storico caldo, non solo per questioni atmosferiche. L’Italia è sotto il regime fascista.
A Roma, intanto, accade un fatto che verrà ricordato a lungo: nasce un bambino di nome Francesco, erede della famiglia di Silvio Sensi.
Silvio Sensi è un imprenditore di successo con una passione non comune per il calcio. Una passione che papà Silvio trasmetterà presto al figlio e che per lo stesso figlio diventerà una ragione di vita.
Nel 2001, settantacinque anni dopo, Francesco Sensi a Roma è noto a tutti come Franco ed è presidente della Roma campione d’Italia. La squadra giallorossa conquista il titolo nazionale dopo diciotto anni dal 1983, per Franco è una soddisfazione che va al di là del mero contesto sportivo.
“Il pensiero corre ai miei genitori e in particolare a mio padre Silvio – dice Sensi in un’intervista a firma Francesco Campanella, pubblicata sulla rivista “La Roma” nel numero di luglio 2001 – La vita è fatta di ricordi, per noi montanari il nostro passato è anche il nostro presente. (...) Papà fu tra i fondatori e oggi che è arrivato questo Scudetto voglio dedicarlo a lui. Lui era anche un buon giocatore di prima divisione. Anch’io ho giocato, ma avevo il problema dell’altezza e del piede non buonissimo. Ma la maglia era quella giallorossa”.
Un legame con la Roma, quello di Franco, che nasce negli anni Cinquanta: “Ero vice presidente quando vincemmo la Coppa delle Fiere. Era importante la partecipazione della gente, il biglietto pagato era l’unica fonte di sostentamento. La gestione era un tutto senza ritorno, non c’erano le risorse di oggi. Uno stato di cose andato avanti fino agli anni Ottanta. Colgo l’occasione per ricordare Dino Viola, bravissimo in quelle condizioni a riuscire a gestire senza andare in perdita e a vincere uno Scudetto”.
Il tricolore arriva dopo otto anni di gestione. Sensi rileva il club inizialmente con Pietro Mezzaroma, ma dopo pochi mesi si mette in proprio liquidando il socio e divenendo unico proprietario: “Quando sono arrivato la società non c’era. Stavano in molti con i piedi sulle scrivanie, senza lavorare. Ho preso la Roma in fallimento per venti miliardi, ma poi ho trovato altri cento miliardi di debiti. (…) Per ricostruire tutto ci solo volute tre fasi. Quando c’erano i due punti serviva un tecnico che garantisse la permanenza in Serie A. Ecco perché presi Mazzone, una persona squisita, un amico vero che mi fa piacere menzionare. Poi occorreva fare il salto. Feci un errore prendendo Carlos Bianchi. Era un tecnico bravo, ma non si inserì. (…) Poi il primo salto, nella seconda fase, lo abbiamo fatto con Zeman. Lui ha creato la struttura tecnica, anche se gli inconvenienti nei derby mi pesavano. Ebbe un trauma, si incastrò nella vicenda doping e ne soffrì. Dopo due ottime stagioni voleva smantellare tutto. Non me la sono sentita di andargli dietro, ci sarebbe stato un effetto finanziario catastrofico. Così presi Capello. Un vincente. La squadra venne rinforzata, anche se la panchina era più debole. Tanti infortuni hanno fatto il resto. Poi la scelta del preparatore atletico, Massimo Neri, è stata la chiave di volta. La ciliegina di Batistuta ha fatto il resto”.
E la città si è colorata di giallorosso, togliendo il titolo ai rivali biancocelesti: “Ho visto una città in esplosione di emotività. Sono emozioni continue. I quartieri hanno festeggiato: Borgio Pio, Parioli, Testaccio, Trastevere, Garbatella… Tifosi civili. Se c’è stato qualcosa di poco civile, quelli non erano tifosi romanisti”. Firmato Franco Sensi, nato quel giovedì 29 luglio 1926. Novant’anni, oggi. Tanti auguri, presidente.
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